martedì 29 settembre 2009

Tre acrostici matematici


Uno dei giochi con le parole più famosi è l’acrostico. Si tratta di un componimento poetico in cui le lettere iniziali delle prime parole dei singoli versi, lette nell’ordine dall’alto verso il basso, formano una parola o una frase, di solito attinente al tema della poesia. Non va confuso con l’acronimo, che invece è formato dalle iniziali di parole che vengono saldate per formare un nome. Di origini antichissime, l’acrostico fu coltivato nella poesia medievale, sacra e profana. Guido d’Arezzo (990-1050) ricavò il nome delle note musicali da un acrostico di un canto in onore di San Giovanni (in seguito la UT è stata modificata in DO):

UT quaeant laxis
REsonare fibris
MIra gestorum
FAmuli tuorum
SOLve polluti
LAbii reatum
Sancte Johannes.

Acrostici sono presenti nella Divina Commedia di Dante Alighieri (Purg. 12.25-63 e Par. 19.115-141), ma raggiungono il loro trionfo con l’Amorosa visione del Boccaccio: le iniziali del primo verso di ogni terzina formano tante parole che, scritte ordinatamente, formano tre poesie per un totale di 58 versi.

La tradizione dell’acrostico è continuata fino ad oggi. Giovanni Pascoli ha dedicato acrostici alle sorelle, Eugenio Montale ha celato il nome di un’amica nelle iniziali dei versi di Da un lago svizzero, Edoardo Sanguineti ha scritto poesie il cui acrostico rende il nome del destinatario o parole-chiave. Se il nome (o il nome e cognome) che si vuol comporre è formato da 14 lettere, è possibile costruire sonetti acrostici, come hanno fatto il Boiardo e lo stesso Sanguineti (in onore dell’oulipiano Jacques Roubaud). Lewis Carroll dedicò un acrostico di sette terzine (21 versi) alla sua ispiratrice, Alice Pleasance Liddell (21 lettere).

Io (e non sono il primo) ho scritto acrostici dedicati a tre grandi matematici. Il senso delle poesie si riferisce ad aspetti della loro opera o della loro vita, le iniziali dei versi indicano il cognome.


Sul bordo della pagina

Fai come me.
Esita, rifletti.
Raramente la pazienza
Mente al paziente.
Attendi che Wiles
Ti tragga d’impiccio.


In cerca di struttura

Ridi! Ancora manca,
In questa dimensione
Essenzialmente umana,
Modo per catturarti.
Abbiamo usato
Nasse di tutto l’alfabeto:
Non serve neppure la Zeta.


Buccia di banana

Già, la verità è all’inizio,
Ontologico Dio,
E non alla fine
Del ragionamento.
Eppure, indecidibile,
Lascia che ti consumi.

domenica 27 settembre 2009

Letteratura combinatoria. Istruzioni per l’uso (con esercizi di stile)

Di solito si pensa che scrivere potendo lasciare libero corso all’immaginazione, senza limiti, offra all'autore le possibilità migliori di creare un bel testo. Sembra però paradossale che i testi più ammirati siano le poesie, nelle quali le gabbie della metrica e della rima avrebbero dovuto deprimere il talento dello scrittore. In realtà, l’obbligo della rima costringe a individuare parole determinate, che portano alla costruzione di frasi non pensate scrivendo il verso precedente. La bella scrittura è ispirazione, ma è anche molta, molta tecnica. Portando questo ragionamento all’estremo, i membri dell’Oulipo ritengono che la restrizione, la contrainte, imponendo regole supplementari autoimposte alla scrittura, possa aumentare la resa letteraria, aiutando l’autore nella ricerca del lessico e della espressione più adatti. Georges Perec ha costruito il suo capolavoro, La vita: istruzioni per l’uso, su una serie impressionante di contraintes. Ognuno dei 99 capitoli del testo, ambientato in uno dei novantanove locali di un immobile parigino, è basato su ben 42 restrizioni, che vanno dalla posizione occupata dal personaggio alla presenza di un animale, dal colore predominante al tipo di arredamento, dall’allusione a certi libri o quadri alle citazioni nascoste di qualche scrittore, ecc. Per orientarsi nel labirinto di 1042 restrizioni, e per evitare di ripetere una stessa combinazione di contraintes in capitoli differenti, Perec ha fatto uso di schemi e tabelle oltre che di procedimenti matematici, come il biquadrato latino, del quale ho già parlato in un precedente articolo. Qui invece, semplificando alquanto, voglio proporre al lettore un esempio pratico di costruzione di un testo in prosa sotto una serie di restrizioni.

Lo schema riportato è formato da nove quadrati latini di 3 righe per 3 colonne, in cui la stessa cifra compare una sola volta in ciascuna casella. A differenza di quanto accade in un sudoku, la stessa cifra può essere presente più volte nella stessa riga o nella stessa colonna. Questo schema può essere usato per generare una narrazione articolata in 32 racconti, ciascuno caratterizzato da 9 contraintes. Il valore letterario dei testi sarà sacrificato al desiderio di rivelarne i meccanismi combinatori.

Attribuisco a ciascuna casella una contrainte che indirizzi la costruzione degli episodi della narrazione. L’idea è quella che ogni quadrato latino dello schema costituisca la guida su cui basare un singolo episodio. Così tutti i numeri che compariranno nella casella in alto a sinistra indicheranno chi sarà il protagonista dell’episodio, tutti quelli in basso a sinistra guideranno lo stile della scrittura, e così via:

Costruisco ora la tabella delle corrispondenze per ogni numero. A causa delle difficoltà di editing con Google, la rendo come testo normale:

Numero 1 : Lui - Operatore immobiliare; Luogo - Spiaggia romagnola; Tempo - Burrasca; Mese - Luglio; Musica - Rock; Mezzo - Piedi; Stile del testo - Gossip; Lei - Acrobata; Passione - Aggressività.

Numero 2 : Lui - Giornalista; Luogo - Biblioteca; Tempo - Afoso; Mese - Dicembre; Musica - Opera; Mezzo - Bicicletta; Stile del testo - Scientifico; Lei - Suora; Passione - Simpatia.

Numero 3 : Lui - Mafioso; Luogo - Parco; Tempo - Variabile; Mese - Ottobre; Musica - Rap; Mezzo - Automobile; Stile del testo - Comunista; Lei - Studentessa liceale; Passione - Violenza omicida.

Numero 4 : Lui - Operaio; Luogo - Via cittadina; Tempo - Nebbia; Mese - Aprile; Musica - Liscio; Mezzo - Tram; Stile del testo - Giallo; Lei - Badante ucraina; Passione - Disprezzo.

Numero 5 : Lui - Libraio; Luogo - Teatro; Tempo - Sereno; Mese - Giugno; Musica - Anni '60; Mezzo - Automobile; Stile del testo - Comunista; Lei - Studentessa liceale; Passione - Terrore.

Numero 6 : Lui - Fisico; Luogo - Università; Tempo - Neve; Mese - Gennaio; Musica - Disco music; Mezzo - Pattino; Stile del testo - Predica; Lei - Vecchia maestra; Passione - Amicizia.

Numero 7 : Lui - Carabiniere; Luogo - Bosco; Tempo - Pioggia; Mese - Febbraio; Musica - Punk; Mezzo - Treno; Stile del testo - Manuale d'istruzioni; Lei - Prostituta; Passione - Indifferenza.

Numero 8 : Lui - Tassista; Luogo - Appartamento; Tempo - Temporale; Mese - Agosto; Musica - Barocca; Mezzo - Metropolitana; Stile del testo - Lettera commerciale; Lei - Docente universitaria; Passione - Amore.

Numero 9 : Lui - Rabbino; Luogo - Bar; Tempo - Vento; Mese - Novembre; Musica - Jazz; Mezzo - Sedia a rotelle; Stile del testo - Elenchi; Lei - Vigilessa; Passione - Attrazione fisica.

Lo schema iniziale e i suoi 9 quadrati costituenti saranno percorsi con moto a spirale in senso orario, partendo dall’elemento in alto a sinistra e finendo con quello centrale.

Ed ecco i nove episodi risultanti, con l’indicazione delle contraintes. Ne ho scritti alcuni. C'è chi vuole aiutarmi a completare il lavoro?


Primo episodio

Lui: Giornalista
Lei: Studentessa liceale
Luogo: Spiaggia romagnola
Tempo: Nebbia
Mese: Agosto
Musica: Disco music
Mezzo di trasporto: Moto
Stile letterario: Elenchi
Passione: Indifferenza


Armando parcheggiò la moto ed estrasse dal bauletto:
- il costume da bagno;
- il telo da spiaggia;
- il lettore mp3;
- gli occhiali da lettura;
- la penna a sfera nera;
- il taccuino sul quale aveva incominciato l’articolo che il direttore gli aveva chiesto per il lunedì successivo.
Una spiaggia romagnola in agosto con la nebbia non l’aveva mai vista, ma sperava che, con l’avanzare del giorno, quella compagna inopportuna e imprevista si potesse dissolvere. Si avvicinò al bagnasciuga e si mise a contemplare il mare, intravedendo:
- il muraglione di scogli frangiflutti,
- tre barche a vela in lontananza;
- un pattino rosso con due tedeschi che remavano forte;
- un sacchetto di plastica che galleggiava, sfuggito alle cure dei bagnini.
Dopo essersi cambiato, andò a sedersi sul telo, inforcò gli occhiali e si mise a leggere quanto aveva scritto. Accese il lettore mp3 e ascoltò la sua amata disco music, sentendo:
- I feel love di Donna Summer;
- Can’t get enough of your love, babe di Barry White;
- That’s the way I like it di KC & the Sunshine Band;
- I will survive di Gloria Gaynor;
- Long train running dei Doobie Brothers.
Accanto a lui si sedette un gruppo di ragazze. Dai loro discorsi comprese che erano studentesse liceali promosse dal quarto al quinto anno. Parlavano infatti di:
- versioni dal greco;
- verbi semideponenti;
- Newton e il suo rapporto con l’Illuminismo;
- quella di inglese che era una vera e propria stronza,
- Mazzoni e la Bollo che si erano messi assieme.
Una delle giovani, quella seduta più vicino a lui, sbirciava sul suo taccuino per vedere che cosa ci fosse scritto. Approfittando del momento in cui s’era tolto le cuffie, gli chiese se per caso fosse un insegnante. Armando, senza togliere gli occhi dalla pagina, disse di no e continuò la lettura.


Secondo episodio

Lui: Operatore immobiliare
Lei: Vigilessa
Luogo: Via cittadina
Tempo: Sereno
Mese: Gennaio
Musica: Opera
Mezzo di trasporto: Treno
Stile letterario: Lettera commerciale
Passione: Violenza omicida


Con riferimento alla cortese richiesta del dott. Armando Cassani, Bruno si recò al catasto per visionare le pertinenze della casa che il suddetto era interessato ad acquistare presso Riccione. Il prezzo dell’immobile era stato stimato in € 150.000,00 (Euro centocinquantamila/00), pagabili con un anticipo di un terzo al rogito e il rimanente in rate mensili. Tale doveva essere considerata la loro migliore offerta, alla quale si chiedeva gentilmente di rispondere entro 15 gg. dal ricevimento della stessa.
Il treno era semivuoto, cosa comprensibile in gennaio, il che consentiva all’operatore immobiliare, rag. Bruno Amadori, di rilassarsi seduto vicino al finestrino. Il sole e l’aria fredda e tersa davano alla città un aspetto inconsueto. L’architettura eclettica della stazione gli ricordò l’allestimento dell’Aida che aveva visto all’Arena di Verona nell’estate precedente la data in oggetto. Fischiettò sottovoce la Marcia Trionfale, alla quale si rimanda per ulteriori chiarimenti sul suo umore.
Giunto in città, uscì dalla stazione per recuperare la bicicletta che la sera precedente aveva legato ad un cartellone pubblicitario sul marciapiede prospiciente. Trovò nelle vicinanze una vigilessa, la signora Francesca Delogu, intenta a redigere un verbale, la quale chiese ad Amadori di esibire un documento. Nell’attesa di un cortese riscontro da parte dell’operatore immobiliare, la poliziotta locale si pregiò di significargli i motivi per i quali egli era in contravvenzione: la bicicletta ostacolava il passaggio dei pedoni sul marciapiede. A fronte delle decise rimostranze dell’uomo, la Delogu minacciò di chiamare alcuni colleghi che stazionavano nei pressi. Dichiarò inoltre che tale comportamento poteva configurarsi come ingiuria e resistenza a pubblico ufficiale, ai sensi del Codice Penale e del regolamento di P.U.
L’Amadori incominciò a far ruotare la catena con la quale aveva assicurato la bicicletta al palo, inviando alla sua sanità mentale distinti saluti.


Terzo episodio (scritto da un'amica)

Lui: Operaio
Lei: Docente
Luogo: Teatro
Tempo: Pioggia
Mese: Dicembre
Musica: Rock
Mezzo di trasporto: Automobile
Stile letterario: Predica
Passione: Attrazione fisica


“Sarebbe sempre meglio riflettere prima di spingersi sotto la pioggia privi di ombrello”.
“Era dai tempi della scuola che non sentivo “privi”, ma come parli, anche te, ma dai!"
“Sarebbe stato meglio riflettere prima di accettare quel lavoro per il quale non sei all'altezza, ammettilo, a casa del ragionier Amadori... Vincenzo, tu sei un operaio, senza offesa, mica un artigiano. Adesso devi preoccuparti di consegnare il lavoro in tempo, hai meno di un mese, per il suo nuovo ufficio. Mi farai fare brutta figura come al solito, quando io ti ho fatto un favore.”
“Ma grazie! Ma guarda...”
“Sì, perché se non fosse stato per la cugina del ragioniere che è una collega della mia sezione... E poi ci tiene il ragioniere, adesso che sta bene. È stato in clinica sai... Una cosa molto sgradevole per tutta la famiglia, ma ora sta meglio. Nessun episodio di follia o di violenza dalla scorsa primavera. È guarito, dicono i medici. Riprendere il suo lavoro sarà senz’altro la cosa migliore”.
“Beh, alla fine l‘ha quasi ammazzata quella poveretta, la vigilessa, dicevano così almeno. Comunque lo sapevo che il tuo invito a questa noia mortale di stasera voleva solo dire che dovevi farmi la tua solita predica e cazziarmi per qualcosa, capirai!”
“Vincenzo io non ti rimprovero.”
“Tu mi cazzi, Elisa, mi CAZZI! Mi “rimproveri”.... E parla come la gente normale per una volta, cazzo!”
“Vincenzo, io non ti rimprovero, te lo ripeto. Ti ricordo soltanto che passi troppo tempo chiuso in quel garage a suonare tutte quelle cose rumorose e anche nostalgiche, ma cresci, cresci che è ora!”
“Elisa: i Pink Floyd non sono nostalgici. Led Zeppelin, Elisa, Deep Purple, Elisa, mai sentiti nominare? Ma sei ignorante allora veh. Proprio una Prof ignorante. Senti... Senti: questa è Immigrant Song. Senti che è attualissima?”
“Ma va bene dai, la conosco, l’ho già sentita mi sembra, dai. E spegni questa radio che tutte queste urla assurde mi urtano, e non sarà mica musica questa! Accendi il riscaldamento che fa un freddo allucinante qui. Ma ce l'hai il riscaldamento in questa auto, Vincenzo? Mai sentito così freddo come stasera, certi spifferi anche durante lo spettacolo che ero quasi tentata di andare a recuperare il cappotto al guardaroba durante l'intervallo.... Manca poco a Natale. Non sarebbe male che quest'anno ti facessi vedere da nostra madre, che non hai nemmeno visto la badante. E' una ucraina, sai, non so se te lo avevo detto. Sembra molto onesta. La mamma è contenta. Tra l'altro non l'hai nemmeno informata del tuo ennesimo licenziamento, la mamma...”
“Ma che “auto”!. Questa è una macchina, Elisa, una MACCHINA USATA. Ma chi è che ti sente parlare così? “Auto”! ahahah! Ma chiama le cose col nome che hanno, che sei ridicola. C'è la crisi Elisa, CRISI! Certo non tocca a te: voi statali chi vi manda a casa voi!”
“Vincenzo, guidi sempre male come una volta e sei sempre maleducato, però sei sempre il mio uomo preferito, lo sai?”
“Elisa, tu non ti sposerai mai, se continui a farmi certi discorsi e a guardarmi così...Io le tue parole “dotte” non le conosco, ma tu mi guardi sempre in un modo che.... Beh dai, lo sai. Ma tu. Ma tu sei mia sorella o cosa?...”
“Non ti permettere di insinuare desideri reconditi e incestuosi da parte mia nei tuoi riguardi. Dovresti vergognarti anche solo di pensarle certe cose. Sai essere veramente disgustoso. Sei ignorante. Sai solo avvitare bulloni, non so nemmeno perché continuo a cercare di “acculturarti”. Hai capito qualcosa di Cechov stasera?”
“'Sto Giardino dei ciliegi, una palla di 3 ore. Ecco, ho capito questo.”
“Ecco vedi... Ricordati che la vita non sarà sempre così per te, prima o poi io ti lascerò solo, Vincenzo. Il tergicristalli ha un ritmo quasi ipnotico, non ti sembra?... Quasi come una cosa tribale sai... Adesso ho persino caldo, tu no?... Stavi bene stasera vestito così. Hai sempre le belle spalle che ricordavo sai. Anche il resto, cioè volevo dire che stavi bene ecco.”
“Elisa, tu non mi lascerai mai. Diventi rossa quando ti guardo e sei fantastica quando sei assorta. Qualche volta fai pensieri strani. Con una mano, una mano ti sfiori. Tu sola dentro l'aula e tutto il resto fuori.”
“Ma di cosa parli" Sei un villano, sei malato, sei un depravato!”
"Vasco de Gama, Elisa, dalle sue memorie, era solo una citazione... Chiudi gli occhi, smettila di stare attaccata alla portiera e guardare fisso nel buio della strada ghiacciata. Fai un sorriso, Elisa, immagina la pioggia su di te... Magari prendi una sigaretta che lo so che non fumi ma ti fa bene dai, respirala tutta e... godi”.

Quarto episodio


Lui: Rabbino
Lei: Badante ucraina
Luogo: Appartamento
Tempo: Neve
Mese: Febbraio
Musica: Rap
Mezzo di trasporto: Bicicletta
Stile letterario: Vispa Teresa
Passione: Aggressività


Qual culo di mucca da tafan infastidito, il vecchio Shlomo era assai inviperito. In preghiera rivolto al suo divin giustiziere, quella slava femmina gli ricordava il clistere; leggeva la Torah di filatteri avvolto e lei con le chiacchiere lo faceva sconvolto. Facealo spostar per la ramazza passar, accendeva la radio per la musica ascoltar.
E che musica bestial!
E che suono fatal!
Chiamata rap dal suo negro inventore, invadeva la casa a quasi tutte l’ore. Quel dì di febbraio, di neve ammantato, il diavolo Eminem causò il suo peccato. Bramava il giudeo, come pastor arcade, di esser solingo per silenziosa beltade. Il dito inanellato nel ricciol sulla tempia, fu alfine vinto da rabbia empia.
E che collera bestial!
E che ira fatal!
Andò all’ingresso, dov’era rossa bicicletta, che l’ucraina donna avea per staffetta. L’alzò sopra le spalle, qual novello Sansone, e gettolla verso lei con forza di leone. Sol l’intervento della pietosa vicina, docente e persona carina, salvò la poveretta con grande pietà, strappando al levita la santa Menorah.
E quanto fu provvidenzial!
Ma che vittoria di Baal!


Quinto episodio


Lui: Tassista
Lei: Cameriera
Luogo: Aula universitaria
Tempo: Afoso
Mese: Ottobre
Musica: Jazz
Mezzo di trasporto: Piedi
Stile letterario: Manuale d’istruzioni
Passione: Disprezzo


AVVERTENZA IMPORTANTE: La presente introduzione va letta con attenzione prima di proseguire, per evitare spiacevoli incidenti derivanti da un uso improprio del testo, che è stato concepito nel rispetto delle norme di ortografia e sintassi in uso nella lingua italiana.
L’episodio si svolge in un’aula universitaria (U) dove convengono casualmente un tassista (A) e una cameriera (B). Introdurre A e B in U. A attende la professoressa di Arti dello Spettacolo (C) perché deve portarla in un’altra città, mentre B è giunta per consegnare le chiavi di casa alla stessa C. Non considerare C. La scena si svolge in ottobre (O), ciononostante il tempo è afoso (Af). A causa di Af, B è sudata perché è arrivata a piedi (P) e le sue ascelle maleodoranti indicano scarsa pulizia. Anche in U considerare Af. Poiché C fa sapere a A e B di essere in ritardo, essi si recano a P nel bar di U per prendere un caffè. Nel bar è accesa una radio che trasmette un brano di Keith Jarrett (KJ). Far entrare la musica di KJ nelle orecchie di A e B. A commenta favorevolmente KJ, mentre B sostiene di amare i neomelodici napoletani. B conclude la frase con un rutto senza neanche scusarsi. Far tornare A e B in U, facendoli ancora attendere C. B comincia a spazientirsi, bestemmiando ad alta voce e inviando improperi irriferibili a C. I presenti la guardano scandalizzati. A prova disprezzo (D) per B. Far allontanare A con una scusa.


Sesto episodio

Lui: Libraio
Lei: Vecchia maestra
Luogo: Bosco
Tempo: Variabile
Mese: Luglio
Musica: Liscio
Mezzo di trasporto: Sedia a rotelle
Stile letterario: Scientifico
Passione: Amore



Settimo episodio

Lui: Fisico
Lei: Prostituta
Luogo: Biblioteca
Tempo: Burrasca
Mese: Novembre
Musica: Barocca
Mezzo di trasporto: Tram
Stile letterario: Comunista
Passione: Timore



Ottavo episodio (inviato da Leonardo, che mi immagino giovane, ma con talento)

Lui: Carabiniere
Lei: Suora
Luogo: Parco
Tempo: Vento
Mese: Aprile
Musica: Anni ‘60
Mezzo di trasporto: Metropolitana
Stile letterario: Gossip
Passione: Amicizia


- “Vedi perché mi piace la primavera? Guardati attorno, è Aprile appena iniziato e senti che bel sole, fa quasi caldo!”
- “Non lo so, sai, io preferisco l’estate con 30 gradi e il mare della Liguria che ci attende. E poi tutto sto vento. Mi viene sempre il mal di gola.”
- “Ma che mal di gola… si chiama brezza primaverile e poi serve per tenere lontane le nuvole, così continua a splendere il sole. Non senti i rumori della primavera? Siamo al parco Lambro e sembra di essere nel fitto di un bosco della bassa.”
- “Se solo ci fosse anche Adamo in sottofondo, sarebbe una giornata perfetta.
Affida una lacrima al vento
e fa che la porti da me
il vento mi ha detto sta attento
la tua bella non pensa più a te.
lalalala….
- “Ahahah, Maria, hai tanti pregi, ma non quello della voce, ahahah”
- “Guarda, guarda i bambini... Le scuole finalmente cominciano a far uscire gli alunni, così non si intristiscono più in quelle aule tutte grigie.”
- “Tu ti sei abituata alla metro?”
- “Insomma, mi fa sempre un po’ paura, forse soffro di claustrofobia.”
- “Ormai è da più di un anno che funziona cara, la prendiamo tutti i giorni, non dovresti avere più paura. L’hanno collaudata, è sicura”
- “Ehh.. sicura, speriamo.”
- “Che poi hai presente quel carabiniere che vediamo tutte le mattine? Quello che sale a Lambrate e scende in Duomo?”
- “Carabiniere? Carabiniere... Ah ho capito di chi parli, eh dimmi.”
- “E’ lui che sta indagando sullo scandalo al monastero”
- “Cosa dici? Quale scandalo?”
- “Sì, sì, scandalo. Suor Luisa è incinta.”
- “Incinta? E di chi?”
- “Ma non lo so. Come faccio a saperlo? Però se ne parla da un po’. Il Bambino non è ancora nato e forse non nascerà mai. Non si sa mai come vanno a finire certe storie.”
- “Povera quella suora, tanto sfortunata da giovane..”
“Perché?”
- “Ma Anna, ma non sai mai niente... Sua madre era una di quelle li.. dai quelle donne di strada...”
- “Cosaaaa???”
- “Da piccolina l’ha abbandonata in un orfanotrofio perché voleva continuare a fare il mestiere. Così quella piccola senz’arte né parte è finita in convento quasi senza accorgersene, forse per redimere i peccati della madre.”
- “Mi vien da dire: tale madre, tale figlia... Adesso anche lei ha un bimbo in grembo che non si sa dove finirà.”
- “Oh, com’è triste la vita. Vedi quando meno te l’aspetti succedono queste cose.”
- “Che poi ieri sera sono andata al cinema a vedere “Giulietta degli spiriti”. Ma com’è brava la Masina. Dovrebbero darle l’Oscar. Sai chi ho trovato? Il carabiniere, sì sì, sempre lui, ma com’è piccolo il mondo...”
- “Comunque non era solo, era con la moglie, e sembravano felici. Lui è un bell’uomo, ma lei mi pareva insignificante, piccolina e coi capelli scuri.”
- “Ma dimmi dello scandalo”
- “Ma poi vedi che tutte le mattine è sempre in compagnia di una suora, anzi della stessa suora”
- “Sì sì, li ho notati anche io, sono una coppia strana.”
- “Quella è la badessa del monastero, e tutte le mattine va in questura per avere degli aggiornamenti sulle indagini. Si chiama Suor Enrica. E’ una vita che è dentro a quel monastero, sempre con l’abito grigio addosso, che ti scruta in maniera inquisitoria, quasi a ricordarti tutti i tuoi peccati. Adesso è lei che ha un segreto da mantenere e non vuole che nulla trapeli da quelle vecchie mura, ma ormai la notizia è pubblica, o quasi.”
- “Suor Enrica vuol sapere com’è è successo, chi s’è intrufolato nel monastero...”
- “E il carabiniere che fa?”
- “Che fa..., lui indaga, cerca di capire se sia stato un prete a fare tutto ciò. Pensa che roba. Un notizione da prima pagina. Nasce in monastero il figlio della Chiesa, ahahha”
- “Non si dicono queste cose, Maria...”
- “Sì, hai ragione, ho detto una cattiveria, che il cielo mi perdoni...”
- “Comunque il figlio di mia cugina fa l’appuntato nella stessa caserma, è lui che racconta le cose alla mamma. Meglio della televisione. Ho le notizie in direttissima. Mi dice che quel carabiniere è una brava persona, un uomo tutto d’un pezzo. E’ venuto su dal sud, s’è trasferito qui due anni fa, con la moglie. Si Chiama Franco, Franco Esposito e gli è appena nato un figlio: Antonio.”
- “Va che è arrivato il mio Giovanni a prendermi. Ci vediamo domani mattina alla fermata della metropolitana, Anna, e mi raccomando tienimi aggiornata... Anzi se vediamo ancora il carabiniere e la suora cerchiamo di sederci vicino a - loro, così magari li sentiamo parlare.”
- “Ciao Maria, buona serata.”


Nono episodio (scritto dall'amica di prima)

Lui: Mafioso
Lei: Acrobata
Luogo: Bar
Tempo: Temporale
Mese: Giugno
Musica: Punk
Mezzo di trasporto: Pattino
Stile letterario: Giallo
Passione: Simpatia


Per tutta la sua vita aveva sempre pensato di non avere il “fisico”. Era cresciuta in fretta, ma solo nelle cosce. La calzamaglia e i body, i lustrini e il trucco pesante l’avevano fatta sentire spesso decisamente “in luogo” e “in posto”, ma fuori da sé e a volte anche di sé.

Stasera spettacolo nella piccola arena della Bambinopoli, all’inizio del Lungomare Spalato, non mancate!

Inizio stagione, turisti stranieri abituati alle renne e ai caribù e al caldo che sentono solo loro, nelle spiagge ancora semideserte. A giugno non ha senso fare nulla, a parte smettere la scuola. Lei l’aveva smessa volentieri la scuola, però.
Tonino era di poche parole. L’unico stabilimento balneare aperto sotto la pioggia era questo, dove alla fine si incontravano quando lui era in zona. Sempre lo stesso bar squallido, con le pronipoti della Luisona che ancora resistevano, oltre le h 22.

Anche Tonino aveva spettacolo stasera.
“But I still supplied, some people I knew died / Murders and homicides for bottles of suicide...”
“Poi come fa? ...Ah sì:
Money, jewelry, livin' like a star / And I wasn't too far from a Jaguar car / In a small-time casino, the town's Al Pacino”
“E poi il finale dai, te lo ricordi?”
“Be like John Gotti, and drive a Maserati” se lo dicono in coro, Yanna e Tonino, sorridendosi abbastanza.
“Fai sempre cover?”
“ E tu ti arrampichi sempre su quelle corde tra due sedie ad altezza nano?”
“Sì dai, prendimi pure in giro...”

La famiglia di Yanna era da sempre una famiglia di “circensi” di ultraperiferia, i Bravo’s. Il posto di incantatore di serpenti albini era già stato occupato dal convivente della madre, quello di pagliaccio anche (sempre il convivente), il mangiatore di fuoco era suo fratello Walter mentre il giocoliere il fratello piccolo, fratellastro a dire la verità: Weber. Weber raccoglieva anche le offerte nel cestino e Walter preparava le sedie e il tendone, insieme al “patrigno”. Così a lei era toccato fare l’acrobata, con la calzamaglia lisa e una gran voglia di tenere i capelli lisci del suo colore e non inchinarsi col sedere al vento davanti a nessuno. Adesso poi la madre si era messa in testa che Yanna dovesse cambiare look, ma era rimasta indietro con le mode di almeno 2 generazioni. Diceva che, per attirare il pubblico giovane ci voleva della violenza. Yanna così aveva dovuto tagliarsi i capelli castani, colorarli di un nero corvino improbabile e farsi la cresta col gel, tipo punk insomma, che vergogna!... E poi la madre aveva scovato “God save the Queen” che Yanna non era nemmeno nata e glielo “smartellava” nelle orecchie tutto il giorno. La faceva provare con quella musica lì e Yanna sbagliava i tempi e le prese, non sapeva quando attaccare con quella musica, si confondeva e alla fine cadeva, sotto gli insulti della madre novella pistola sexy.
Tonino era un “mafioso” (1), Yanna preferiva di gran lunga il “gangster”, ma non glielo avrebbe mai detto: erano amici da troppo tempo.
In quel bar li lasciavano cantare fino a tardi, e anche provare le mosse. Tonino non demordeva, prima poi ci avrebbe partecipato anche lui, all "UK B-boy Championship", tanto per tornare a Londra. Si stava perfezionando nel beatboxing (2), era già abbastanza bravo, secondo lui
I tuoni sembravano provenire direttamente dal mare quella sera, più che giugno pareva di essere a inizio ottobre, il tempo in cui ci si decide di scrivere delle storie un po’ improvvisate sulla fine dell’estate, con qualche flash back e qualche morto ammazzato, (prima di cominciare a pensare a quelle che necessitano del camino e ai ceppi e alla neve e all’infanzia inviolata, di tipo Harmony Blue).
Tonino era figlio di un carabiniere, ma non si sarebbe mai detto.
Yanna era proprio figlia di sua madre, anche “degna”, se vogliamo, ma nessuno lo avrebbe mai sospettato.

“Senti, ti va di fare un giro, come ai vecchi tempi?
“Ma con quest’acqua? Ma tu sei matto... E poi è anche tardi...”
“Ma no che ancora non piove, il temporale arriverà, ma faremo in tempo a tornare dai!”
Tonino prepara gli scalmi e arma il moscone di compensato marino, sistema tra le gambe anche l’ancora, non si sa mai: chissà se è ancora capace di fare il “cowboy”...
Fa freddo e la sabbia è meno sabbia che mai. I due pattini si guardano: uno resta disarmato sulla riva e l’altro salpa coi due ragazzi a bordo.
Gli scogli artificiali sembrano lontani, nella notte. La luna non c’è.
Le luci del bar non sport sono spente ormai. Viene un’acqua che pare squarci il sereno, tra nuvole e lenzuola di chi dorme già (beato lui).
I Bravo’s non trovano l’acrobata stasera, dove si sarà “predata”?
Il proprietario della “Zanna Psichedelica” ha già in testa un ultimatum da dare a quel deficiente ragazzino che non rispetta gli impegni: che vada a fare la sua musica altrove e che non si ripresenti mai più!
Il carabiniere è il primo a fare il genitore-mestierante, per l’occasione e inizia a indagare con interrogatori sommari .
La madre di Yanna non sa cosa pensare, né cosa credere, né perché.

Yanna avrebbe voluto morire. Tonino voleva andarsene lontano.
Qualcuno li ha visti di sicuro non tornare, coi remi in mano.

Note: (1) Mafioso indica una particolare sezione del rap; (2) Beatboxing è l’arte di imitare con la voce il suono degli elementi della batteria.

venerdì 25 settembre 2009

DNA e poesia

Tre poesie sul DNA di tre poeti di nazionalità diverse.

DNA

DNA o ADN, poco importa
si en castellano o en inglés: el caso
es que me muero por tus proteínas,
por tus aminoácidos, por todo
lo que fuiste una vez, cuando tus padres
vinieron de cenar algo achispados
y, después de tirar de la cadena,
hicieron una nueva con tu nombre,
con tus curvas y con tus fantasías.
Dame una foto de tu DNA
tamaño DNI, que me retuerzo
de ganas de mirarla a todas horas.


DNA
DNA o ADN, poco importa
se in spagnolo o inglese: il fatto
è che muoio per le tue proteine;
per i tuoi aminoacidi, per tutto
ciò che fosti un tempo, quando i tuoi genitori
finita la cena abbastanza sbronzi
dopo aver tirato la catena,
ne fecero una nuova con il tuo nome,
le tue curve e le tue fantasie.
Dammi una tua foto DNA
formato tessera, che mi struggo
dalla voglia di guardarla tutto il tempo.

Luis Alberto de Cuenca, da Animales Domésticos (1995)

Luis Alberto de Cuenca y Prado (Madrid, 1950), è un poeta, traduttore e saggista spagnolo. Laureato in filologia classica nel 1976, è stato Segretario di Stato alla cultura nel governo di José María Aznar. In quella carica ha dato il via alla BLU (Biblioteca de Literatura Universal, creata sul modello della celebre collezione francese di classici La Pléyade). Ha tradotto tra gli altri Omero, Euripide, Callimaco, Charles Nodier e Gérard de Nerval. Le sue opere sono state tradotte in diverse lingue, tra cui l’italiano.

Nella sua poesia si fondono l’erudizione e la creatività, dando vita a quella che è stata chiamata una «poética transculturalista»: una lírica ironica e elegante, a volte scettica e disincantata, nella quale il trascendente convive con il quotidiano e il libresco si intreccia con il popolare. Tra i suoi interessi anche la musica: scrive i testi per il gruppo rock Orquesta Mondragón.

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Lode al DNA

Lode a te
DNA
serpente
che risali a spirale
l’albero del tempo
pallottoliere dei noumeni
per computare l’algoritmo
della vita
sullo spartito del carbonio
coro a tre voci dei geni
nell’oratorio della cellula
tipografia clandestina
che stampi anatomie
sull’arcolaio delle forme
e subdole patologie
come bisturi nelle cliniche
dell’evoluzione
che hai scritto sul libro dell’eone
la storia fatta corpo dalle origini
senza volermi
hai sognato di me
me nell’ameba
me negli echinodermi
me negli pterodattili
me in quel remoto scimpanzé
che abitava un tempo sugli alberi
tu che governi l’uovo nel nido
e l’ovulo nell’utero
che fai danzare l’ape nel suo bugno
che hai suggerito a Platone
nell’età greca dei miracoli
quei Dialoghi
che tu hai scritto di suo pugno
tu che hai aperto un orecchio
alla sordità dell’universo
che hai dischiuso delle pupille
alla cecità siderale delle stelle
che hai ispirato
col ritmo del respiro
i poeti e con le nostre dieci dita
i primi matematici
che hai piantato nei mitocondri d’Eva
il seme di senape
della nostra umanità
che hai piegato il caso alla norma
l’informe alla forma
l’anomia all’identità
ti dobbiamo questa mano che scrive
con la penna o il computer
eredi della selce scheggiata
ti dobbiamo questa intelligenza
Pegaso che si impenna
tra la memorie e l’inferenza
tra il fossile e l’utopia
tra il mito e la scienza.

Giorgio Celli, in Percorsi (2006)

Etologo, naturalista, professore universitario e noto divulgatore scientifico (è stato il conduttore della fortunata trasmissione televisiva di Rai3 Nel regno degli animali), Giorgio Celli (1935) possiede anche una lunga carriera letteraria. Ha fatto parte della neoavanguardia con il Gruppo 63, assieme a poeti e scrittori del calibro di Alberto Arbasino, Nanni Balestrini, Umberto Eco, Antonio Porta, Angelo Guglielmi, Giorgio Manganelli, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti e Sebastiano Vassalli. Interessato al teatro e all'arte, nel 1975 ha vinto il premio Pirandello con l'opera Le tentazioni del professor Faust (Feltrinelli 1976); due sue opere teatrali sono state rappresentate al Festival dei due mondi di Spoleto. Nel 1986 ha curato l'audiovisivo Arte e biologia nel Novecento per la sezione "Arte e scienza" della Biennale di Venezia.

La poesia di Celli è originale sia sul piano stilistico sia per le connessioni con il lavoro del ricercatore e del pubblicista, impegnato ad indagare gli ambiti del sapere scientifico e i suoi possibili legami con la letteratura, il teatro, le arti figurative. La sua parola poetica, al pari dello sguardo scientifico, coglie e riflette le pieghe segrete del reale e della materia. L’Ode al DNA (che Matteo Veronesi ritiene “non indegna, per vigoria di concezione e d’immagini, di stare accanto all’Ode all’atomo di Pablo Neruda”) unisce in un solo respiro poetico la visione dell’universo e della storia "fatta corpo dalle origini", un’epopea della vita che procede dal "caso" alla "norma", dall’ameba all’impresa scientifica.

--- OOO---

Code, Memory

Alcman, they say, called Mnemosyne big-eyed, since we see the past by our thinking

Walk in, to a Ticino alp's
wild strawberry midsummer,
see the blues flit, conjure up
a young Russian with a net.
Elsewhere, by lamplight,
one you loved can look
at the old photos and say
"you smile like your father
he also wore a cap."
The way lit up in '53,
two young men just willing
a model into being. Walk,
toward them, past a monk
tending peas, on to stains,
agar plates and centrifuges,
come, walk by the light
of signals from within, past
x-shaped diffraction patterns;
on, past '53, heady
with the logic of splice
and heal, the profligate
wonder of polymerases,
into denominable bounty,
down this biochemical
rope trick of a molecule,
its rings' sticky signposts
tied to a backbone (chain,
chain, chain, she sings)
run -- of sugars, unsweet,
and phosphate triads.
There, there's memory's lair,
the inexpungable trail
of every enzyme that worked,
and those that did but
for a while, every affair
the senses had with a niche,
the genes turned off
as we came out of water,
what worked, what nearly killed –
the insinuating virus, code
immured in coiled softness,
coopted symbiotes. Move,
for here wiggling and collision
gauge shape, down necklaces
of meaning interrupted
by stutters, the ons, offs,
intent, a tinkerer's means
to function (that escapes us),
on, to difference, earthy life,
its dendral arms hazarding
berry and you, to the butterfly
that lights on torn up earth
in Srebrenice and Złoczów,
that flies to the far place
love obstinately chose.
An Alp… is to be climbed;
they did, our mid-century
helixeers. But oh, an alp
is also a sweet shoulder
of a mountain, that meadow
reaching for snowline, the place
where men drive cattle, rest,
move higher. An alp is clover,
a place to feed, and watch
another blue, now the morning
glory's winding grasp and
climb. The word sings, in alp
and alkaline phosphatase
and DNA, in nuanced refrain;
this side of memory, of a world
that was; and one that will be.

Codice, memoria

Dicono che Alcmane definisse Mnemosyne “dai grandi occhi”, perché vediamo il passato attraverso il nostro pensiero.

Cammina, verso una mezza estate
di fragola selvatica sull’Alpe del Ticino,
guardale volteggiare azzurre, evoca
un giovane russo con una rete.
Altrove, alla luce d’una lampada,
chi hai amato può guardare
le vecchie foto e dire:
“sorridi come tuo padre:
anch’egli portava un berretto”.
La via si accese nel ’53,
due giovani che solo volevano
un modello nell’esistenza. Cammina
verso di loro, supera un monaco
che si interessa di piselli, verso le colorazioni,
colture sotto vetro e centrifughe,
vieni, cammina alla luce
di segnali dall’interno, vecchie
figure di diffrazione a forma di X;
avanti, superato il ’53, intontito
dalla logica di unione
e di salute, la libertina
meraviglia di polimerasi,
in profusione quantificabile,
giù verso questa biochimica
ingannevole corda di una molecola,
i suoi segnaposti adesivi di anelli
legati a una spina dorsale (chain,
chain. chain
, lei canta)
corri – di zuccheri, non dolci,
e triadi di fosfati.
Là, c’è il rifugio della memoria,
l’ineliminabile traccia
di ogni enzima che agì,
e quelli che lo fecero ma solo
per un po’ di tempo, ogni affare
che i sensi hanno avuto con una nicchia,
che i geni si sono spenti
quando uscimmo dall’acqua,
ciò che funzionò, ciò che quasi uccise –
il virus insinuante, codice
imprigionato in morbidezza a spirale,
cooptati simbionti. Affrettati,
che qui prendono forma ondeggianti
indicatori di collisione, giù verso collane
di significato interrotte
da balbuzie, gli on, gli off,
intenti, un disegno da saldatore
(che ci sfugge) per funzionare,
avanti, verso la differenza, la vita terrestre,
le sue arborescenti braccia che azzardano
la fragola e te, verso la farfalla
che riluce sulla terra straziata
di Srebrenice e Złoczów,
che vola al luogo remoto
che l’amore ostinatamente scelse.
Un Alpe... va scalata;
essi lo fecero, i nostri scopritori
di metà secolo. Ma oh, un’alpe
è anche una dolce spalla
di una montagna, quel pascolo
che si allunga per cogliere la linea delle nevi,
il posto dove l’uomo conduce il bestiame,
si ferma, si sposta più in alto. Un alpe
è trifoglio, un posto che nutre, e guarda
un altro azzurro, che ora la gloria
del mattino sta afferrando
e scalando. La parola canta, nell’alpe
e nella fosfatasi alcalina
e nel DNA, in sfumato ritornello;
questo lato della memoria, di un mondo
che fu, e di uno che sarà.

Roald Hoffmann è nato nel 1937 a Złoczów, in Polonia (ora Zolochiv, in Ucraina) da famiglia ebrea. Sopravvissuto alla guerra, è emigrato negli Stati Uniti nel 1949, dove ha studiato chimica conseguendo il dottorato nel 1962. Dal 1965 insegna alla Cornell University, dove oggi è professore emerito di Lettere. Per la sua attività scientifica ha ricevuto molti ambiti riconoscimenti, tra cui il Premio Nobel per la chimica nel 1981 (assieme a Kenichi Fukui).

Come scrittore, Hoffmann ha esplorato il terreno tra scienza, poesia e filosofia, con molti articoli e saggi. Egli è anche un esperto poeta e drammaturgo. Ha cominciato a scrivere poesie alla metà degli anni ’70, pubblicando numerose raccolte, l’ultima delle quali è Soliton (2002). Il suo terzo lavoro teatrale, We Have Something That Belongs to You, è stato rappresentato per la prima volta nel 2009.

A proposito di questa poesia, Hoffmann ha raccontato che fu scritta quando Nature gli commissionò un’opera per il cinquantesimo anniversario della pubblicazione della ricerca di Watson e Crick sul DNA (1953). Dopo alcune prove infruttuose, l’ispirazione giusta gli venne durante una gita con un amico nel Canton Ticino, durante la quale, nel corso di una passeggiata in montagna, vide alcune meravigliose farfalle blu che gli ricordarono la passione entomologica di Nabokov. L’opera, piuttosto complessa, mescola la descrizione dell’ascensione, che suggerisce all’autore sensazioni e spunti per una riflessione sullo sviluppo della genetica da Mendel (il monaco che si sta interessando ai piselli) fino al modello del DNA, con i ricordi d’infanzia (la caccia alle farfalle con il retino), e riflessioni sulla guerra (Srebrenice e la sua Złoczów). Hoffmann trova pure il modo di fare cenno a Chain of Fools di Aretha Franklin.

Nota per il lettore: le traduzioni dallo spagnolo e dall’inglese sono mie, perciò sono sicuramente affette da imprecisioni ed errori che il lettore saprà perdonare o, auspico, correggere.
Grazie per i preziosi suggerimenti alla Perfida Nera (spagnolo) e a Michela (inglese)

lunedì 21 settembre 2009

Letteratura combinatoria 5: ramificazioni di Borges

Herbert Quain è morto a Roscommon; ho visto senza sorpresa che il Supplemento letterario del «Times» gli dedica appena una mezza colonna di pietà necrologica, in cui non v'è epiteto laudativo che non sia corretto (o seriamente redarguito) da un avverbio. Lo «Spectator», da parte sua, è certo meno laconico, e forse più cordiale, ma paragona il primo libro di Quain - The God of the Labyrinth - a uno di Agatha Christie, e gli altri a quelli di Gertrude Stein: accostamenti che nessuno giudicherà inevitabili, e che non avrebbero rallegrato il defunto. Questo, del resto, mai si credette geniale: neppure nelle notti peripatetiche di conversazione letteraria, (…)

Ho riferito un tratto di modestia di Herbert Quain; naturalmente, questa modestia non esaurisce tutto il suo pensiero. Flaubert e Henry James ci hanno abituato a supporre che le opere d'arte siano infrequenti, e di esecuzione laboriosa; il secolo XVI (ricordiamo il Viaggio del Parnaso, ricordiamo il destino di Shakespeare), non condivideva questa sconsolata opinione. Né la condivideva Herbert Quain. Giudicava che la buona letteratura è piuttosto comune, e che non v'è quasi dialogo casuale, conversazione udita per la strada, che non la raggiunga. Giudicava anche che il fatto estetico non può prescindere da qualche elemento di stupore, e che stupirsi a memoria è difficile. Deplorava con sorridente sincerità «la servile e ostinata conservazione» di libri preteriti... Non so se la sua vaga teoria si giustifichi; so che i suoi libri aspirano troppo alla sorpresa.

Deploro di aver prestato a una signora, irreversibilmente, il primo che pubblicò. Ho già detto che si tratta d'un romanzo poliziesco, The God of thè Labyrinth; posso aggiungere che l'editore lo mise in vendita negli ultimi giorni del novembre 1933. (…) A distanza di sette anni, m'è impossibile recuperare i dettagli dell'azione; ma eccone il piano generale, quale l'impoveriscono (quale lo purificano) le lacune della mia memoria. V'è un indecifrabile assassinio nelle pagine iniziali, una lenta discussione nelle intermedie, una soluzione nelle ultime. Poi, risolto ormai l'enigma, v'è un paragrafo vasto e retrospettivo che contiene questa frase: «Tutti credettero che l'incontro dei due giocatori di scacchi fosse stato casuale». Questa frase lascia capire che la soluzione è erronea. Il lettore, inquieto, rivede i capitoli sospetti e scopre un'altra soluzione, la vera. Il lettore di questo libro singolare è più perspicace del detective.

Ancora più eterodosso è il «romanzo regressivo, ramificato» April March, la cui terza (e unica) parte è del 1936. Nel giudicare questo romanzo dobbiamo ricordare che si tratta d'un gioco, e che l'autore non lo considerò mai diversamente. «Rivendico per quest'opera - l'udii affermare - i tratti essenziali di ogni gioco: la simmetria, le leggi arbitrarie, il tedio». Lo stesso titolo non è che un debole calembour, non significa Marcia d'aprile, ma letteralmente Aprile marzo. Alcuni hanno avvertito in quelle pagine un'eco della dottrina di Dunne; la prefazione di Quain preferisce evocare il mondo alla rovescia di Bradley, in cui la morte precede la nascita e la ferita il colpo (…). I mondi che propone April March non sono regressivi: è regressiva la maniera di raccontarne la storia. Regressiva e ramificata, come ho già detto. L'opera comprende tredici capitoli. Il primo riferisce l'ambiguo dialogo di alcuni sconosciuti su una banchina. Il secondo riferisce gli avvenimenti della vigilia del primo. Il terzo, anch'esso retrogrado, riferisce gli avvenimenti di un'altra possibile vigilia del primo; il quarto, quelli di un'altra. Ciascuna di queste tre vigilie (che rigorosamente si escludono) si ramifica in altre tre, d'indole molto diversa. Il corpo dell'opera consta poi di nove racconti; ogni racconto, di tre lunghi capitoli. (Il primo capitolo, naturalmente, è comune a tutti i racconti). Di questi racconti, uno è di carattere simbolico; un altro, soprannaturale; un altro, poliziesco; un altro, psicologo; un altro, comunista; un altro, anticomunista; ecc. Uno schema, forse, aiuterà a comprendere la struttura:

Può ripetersi di questa struttura ciò che disse Schopenhauer delle dodici categorie kantiane: che tutto sacrificano a un furore simmetrico. Com'era prevedibile, alcuno dei nove racconti è indegno di Quain. Il migliore non è quello che immaginò originariamente, l’x4, è quello di natura fantastica, l’x9. Altri sono imbruttiti da scherzi insipidi e da pseudo-precisazioni inutili. Chi li leggesse nell'ordine cronologico (per esempio: x3, y, z) perderebbe il sapore peculiare dello strano libro. Due racconti – l’x7 e l’x8 - hanno poco valore di per sé, ma acquistano efficacia se giustapposti... Ricorderò anche che Quain, avendo già pubblicato Aprii March, si pentì dell'ordine ternario e auspicò che, tra i suoi futuri imitatori, gli uomini scegliessero il binario

e i demiurghi e gli dèi l'infinito: infinite storie, infinitamente ramificate.

(da: Jorge Luis Borges, Esame dell’opera di Herbert Quain, contenuto in Finzioni 1935-1944, Einaudi, 1995, traduzione di Franco Lucentini)


venerdì 18 settembre 2009

Fintipit: un gioco letterario



Tempo fa ho proposto un gioco di parodie letterarie a Stefano Bartezzaghi, che aveva pubblicato sul portale di Repubblica online i miei adattamenti di Ogden Nash per Lessico e Nuvole, ma lui non mi ha mai risposto. Forse non gli è piaciuto, ma voglio pensare che non sempre la posta elettronica funziona come dovrebbe. Adesso che ho un blog e sono padrone del mio destino, nella buona come nella cattiva sorte, ci riprovo.

Il gioco l’ho chiamato fintipit, perché si tratta di scrivere, nell’arco di un certo tempo, ad esempio uno o due giorni, il maggior numero di finti incipit nello stile di (o con i riferimenti a) autori conosciuti. Il fintipit è incatenato alla contrainte (costrizione formale) della frase successiva (la stessa per tutti gli autori), inventata dal capo-gioco, con la quale deve concordare in qualche modo. Si gioca a partire da tre persone in su, con il capo-gioco che si astiene nella mano di cui ha inventato la frase di riferimento. Il punteggio per ogni partecipante viene determinato dal numero di autori riconosciuti da almeno uno degli altri membri del gruppo di giocatori. Perciò, se l’imitazione non è individuata, la colpa è comunque del giocatore, che non è stato un bravo plagiario oppure ha scelto compagni di gioco ignoranti (in campo letterario).

Ho controllato sul prezioso e attendibile Il Dado e l’alfabeto. Nuovo dizionario dei giochi con le parole di Giampaolo Dossena (Zanichelli, 2004) e pare che l’idea sia originale. Di simile esiste un gioco in scatola che si chiama Plagio®, in cui bisogna indovinare la parola mancante in una citazione letteraria tra quelle proposte sulla carta pescata, oppure c’è il gioco giapponese uta garuta (“poesia” e “carta”), nel quale i giocatori devono saper abbinare il più rapidamente possibile le carte di due mazzi, il primo dei quali contiene il testo delle cento poesie colà più conosciute, mentre il secondo contiene solo l’ultima frase. Forse, per lo spirito che lo anima, il fintipit può essere avvicinato con maggior ragione agli esilaranti fincipit di Alessandro Bonino. La mia idea nasce piuttosto dagli Esercizi di stile di Raymond Queneau, oppure dalle parodie di poeti nelle quali, ad esempio, eccelleva il futurista Luciano Folgore negli anni ’30 e ’40.

Come esempio considero la frase:
“Non ci sarebbe stato bisogno di molto tempo per capire cos’era successo, ma una serie di circostanze accrebbe il mistero”.
alla quale cerco di anteporre il maggior numero di finti incipit nello stile di autori noti. Se li riconoscete, fatemelo sapere. In un post di commento poi renderò noti i nomi di coloro che volevo imitare. Naturalmente invito chi mi legge a cimentarsi anche nella sfida di scrivere altri fintipit. Se il gioco piace, si può ripetere con una seconda frase, magari inventata da qualcuno che non sia io. Ecco i miei fintipit:

1- Un immondo giardino di rovi ed edere marce si era impossessato del patio e delle colonne della vecchia casa georgiana di Hill Street, da cui proveniva un fetore disgustoso. Non ci sarebbe stato bisogno di molto tempo per capire cos’era successo, ma una serie di circostanze accrebbe il mistero.

2 - Sulla terza di copertina della copia delle Investigaciones de la sevolla di Alejandro Raimondi conservata alla biblioteca comunale di Belgrano una mano anonima aveva chiosato che la cipolla è una, ma i suoi strati sono infiniti. Non ci sarebbe stato bisogno di molto tempo per capire cos’era successo, ma una serie di circostanze accrebbe il mistero.

3 - La grassa padrona del bistrot guardò incuriosita lo strano abbigliamento del giovane che era entrato portandosi dentro alcuni fiocchi di neve gelata, sicuramente un fiammingo. Non ci sarebbe stato bisogno di molto tempo per capire cos’era successo, ma una serie di circostanze accrebbe il mistero.

4 - Vladek chiuse l’ufficio e corse da Anna, attraversando il ponte vecchio con una fretta che risultò sospetta ai funzionari in borghese della polizia politica seduti a fumare sul parapetto. Non ci sarebbe stato bisogno di molto tempo per capire cos’era successo, ma una serie di circostanze accrebbe il mistero.

5 - Il primo paziente che dovevo visitare quella mattina aveva perso una mano sulle Ardenne, ma il suo sguardo denunciava, eccome se lo denunciava, hen, che il vero motivo per il quale si trovava nel mio studio era diverso e ben più grave. Non ci sarebbe stato bisogno di molto tempo per capire cos’era successo, ma una serie di circostanze accrebbe il mistero.

6 - Le regolarità economiche che la scienza marxista individua nelle fasi strategiche dello sviluppo imperialista mostrarono da subito che la crisi delle borse asiatiche non era strutturale. Non ci sarebbe stato bisogno di molto tempo per capire cos’era successo, ma una serie di circostanze accrebbe il mistero.

7 - Nel suo studio sulla simbologia della Sfinge, Ossendowski omise deliberatamente di fare cenno agli aspetti iniziatici dell’enigmistica alla luce di un’interpretazione del testamento di Nicolas Flamel, che era fonte sicuramente nota ai tempi in cui scriveva. Non ci sarebbe stato bisogno di molto tempo per capire cos’era successo, ma una serie di circostanze accrebbe il mistero.

8 - Quel giorno si sentiva tanticchia tristi e macari incazzato, perché quell’ammazzatina di Ferragosto proprio non se la digeriva. Non ci sarebbe stato bisogno di molto tempo per capire cos’era successo, ma una serie di circostanze accrebbe il mistero.

mercoledì 16 settembre 2009

Attuazione dei Protocolli


Com’è noto, I Protocolli dei Savi Anziani di Sion sono un falso, costruito sulla base di anteriori documenti antisemiti, redatto dalla polizia segreta zarista per screditare gli ebrei. Essi descrivono nel dettaglio il piano di conquista del mondo da parte della comunità ebraica, che si proporrebbe di ottenere il controllo degli organismi nevralgici delle società moderne, quali la finanza, la stampa, l’educazione, l’economia, gli eserciti, la morale e la cultura. Questo testo infame ha ispirato tutte le politiche antisemite del Novecento. Purtroppo i falsi Protocolli godono tuttora di una patente di veridicità nel mondo islamico (io li ho trovati in un sito islamista italiano). Il documento non è vero, in quanto non è stato scritto da una misteriosa Internazionale ebraica, ma io lo trovo profetico, perché proprio in questi anni sta trovando nel nostro paese una sua applicazione concreta. Supporto la mia tesi con alcuni estratti:

PROTOCOLLO I

Può una mente sana e logica sperare di governare una massa con successo per mezzo di argomenti e ragionamenti, quando sussiste la possibilità che essi siano contraddetti da altri i quali, anche se assurdi e ridicoli, vengano presentati in guisa attraente a quella parte della plebe, che non è capace di ragionare o di approfondire, guidata come è interamente da piccole passioni e convenzioni, o da teorie sentimentali?

PROTOCOLLO II

Sceglieremo fra il pubblico amministratori che abbiano tendenze servili. Essi non avranno esperienza dell'arte di governare, e perciò saranno facilmente trasformati in altrettante pedine del nostro giuoco; pedine che saranno nelle mani dei nostri astuti ed eruditi consiglieri, specialmente educati fino dall'infanzia nell'arte di governare il mondo.

PROTOCOLLO III

Oggi vi posso assicurare che siamo a pochi passi dalla nostra mèta. Rimane da percorrere ancora una breve distanza e poi il ciclo del Serpente Simbolico - emblema della nostra gente - sarà completo.

PROTOCOLLO V

Il capitale per avere il campo libero, deve ottenere l'assoluto monopolio dell'industria e del commercio. Questo scopo viene già raggiunto da una mano invisibile in tutte le parti del mondo. Questo privilegio farà sì che tutta la forza politica sarà nelle mani dei commercianti, i quali col profitto abusivo opprimeranno la popolazione.

Il problema principale per il nostro governo è questo: come indebolire il cervello pubblico mediante la critica; come fargli perdere la facoltà di ragionare che è fomite d'opposizione; come distrarre la mentalità del pubblico per mezzo di fraseologie insensate.

PROTOCOLLO VI

Dobbiamo adoperare ogni mezzo per sviluppare la popolarità del nostro supergoverno, presentandolo come il protettore e il rimuneratore di tutti coloro che volontariamente si sottometteranno a noi.

Allo scopo di rovinare le industrie dei Gentili e di aiutare la speculazione, incoraggeremo l'amore pel lusso sfrenato, che abbiamo già sviluppato.

PROTOCOLLO VII

Per giovare al nostro piano mondiale, che si avvicina al termine desiderato, dobbiamo impressionare i governi dei Gentili mediante la cosiddetta pubblica opinione, che in realtà viene dovunque preparata da noi per mezzo di quel massimo fra i poteri che è la stampa, la quale - fatte insignificanti eccezioni di cui non è il caso tener conto - è completamente nelle nostre mani.

PROTOCOLLO VIII

Il nostro governo deve essere circondato da tutte le forze della civiltà in mezzo alle quali esso dovrà agire. Attirerà a sé i pubblicisti, gli avvocati, i praticanti, gli amministratori, i diplomatici ed infine gli individui preparati nelle nostre scuole avanzate speciali. Questi individui conosceranno i segreti della vita sociale; saranno padroni di tutte le lingue messe insieme con le lettere e le parole politiche; avranno una perfetta conoscenza della parte intima e segreta della natura umana, con tutte le sue corde più sensibili, che essi dovranno far risuonare e vibrare secondo la loro volontà.

Circonderemo il nostro governo con un vero esercito di economisti. Questo è il motivo per cui si insegna principalmente agli Ebrei la scienza dell'economia. Saremo circondati da migliaia di banchieri, di commercianti e, cosa ancora più importante, di milionari, perché, in realtà, ogni cosa sarà decisa dal danaro.

PROTOCOLLO IX

Abbiamo messo le nostre mani ovunque: nella giurisdizione, nelle elezioni, nell'amministrazione della stampa, nel promuovere la libertà individuale, e, cosa ancor più importante, nell'educazione, che costituisce il sostegno principale della libera esistenza.

PROTOCOLLO X

La Nazione tiene in considerazione speciale la potenza di un genio politico e tollera tutte le sue prepotenze commentandole in questo modo: "Che tiro birbone, ma con che abilità lo ha eseguito!". Oppure: "Che canagliata, ma come ben fatta, e con quanto coraggio!".

Il Parlamento eleggerà, proteggerà e metterà al coperto il presidente, ma noi toglieremo al Parlamento la facoltà di introdurre nuove leggi, nonché di mutare le esistenti.

Inoltre, quando introdurremo la nuova costituzione repubblicana, col pretesto della segretezze di Stato toglieremo al Parlamento il diritto di discutere l'opportunità delle misure prese dal governo. Con questa nuova costituzione ridurremo al minimo il numero dei rappresentanti la nazione, diminuendo così di altrettanto le passioni politiche, e la passione per la politica. Se malgrado ciò questi rappresentanti diventassero ricalcitranti, li sostituiremo appellandoci alla nazione. Il Presidente avrà la facoltà di nominare il presidente ed il vice presidente della Camera dei deputati e del Senato. Alle continue sessioni parlamentari sostituiremo sessioni della durata di pochi mesi. Inoltre il Presidente, quale capo del potere esecutivo, avrà il diritto di convocare e di sciogliere il Parlamento, e, nel caso di scioglimento, di rinviare la convocazione del nuovo.

Le leggi che possono essere interpretate in diverse maniere saranno interpretate a modo nostro dal Presidente il quale, inoltre, annullerà le leggi quando lo riterremo utile, ed avrà anche il diritto di proporne delle nuove temporanee, e persino di fare modificazioni nel lavoro costituzionale del Governo, prendendo come pretesto le esigenze del benessere del paese.

PROTOCOLLO XII

La stampa è spesse volte vana, ingiusta e mendace, e la maggior parte della gente non ne capisce affatto le sue vere intenzioni. Noi la barderemo e ne terremo fermamente in pugno le redini. Inoltre dovremo acquistare il controllo di tutte le altre ditte editrici. Non ci servirebbe a nulla il solo controllo dei giornali se restassimo esposti ad attacchi con opuscoli e libri.

Nessuno potrà impunemente attentare al prestigio della nostra infallibilità politica. Per sopprimere qualunque pubblicazione prenderemo un pretesto: diremo, per esempio, che eccita l'opinione pubblica senza ragione e senza fondamento. Ma vi prego di tener presente, che fra le pubblicazioni aggressive ve ne saranno anche talune istituite da noi apposta con tale intento. Ma esse attaccheranno solo quei punti della nostra politica, che abbiamo l'intenzione di cambiare. Nessuna informazione giungerà al pubblico senza essere stata prima controllata da noi. Stiamo già raggiungendo questo scopo anche attualmente, per il fatto che tutte le notizie sono ricevute da poche agenzie, nelle quali sono centralizzate da tutte le parti del mondo. Quando giungeremo al potere, queste agenzie ci apparterranno completamente e pubblicheranno solo quelle notizie che noi permetteremo.

La letteratura e il giornalismo sono le due più importanti forze educative, e per questo motivo il nostro governo si accaparrerà il maggior numero di periodici. Con questo sistema neutralizzeremo la cattiva influenza della stampa privata ed otterremo un'influenza enorme sulla mente umana. Se dovessimo permettere la pubblicazione di dieci periodici privati, noi stessi dovremmo pubblicarne trenta e così via.

Ma il pubblico non deve avere il minimo sospetto di queste precauzioni; perciò tutti i periodici pubblicati da noi, avranno apparentemente vedute ed opinioni contraddittorie, ispirando così la fiducia e presentando un'apparenza attraente ai nostri non sospettosi nemici, che cadranno nella nostra trappola e saranno disarmati.

PROTOCOLLO XIII

Le masse acconsentono di astenersi e di desistere da ciò che credono sia l'attività politica, solamente se possiamo dar loro qualche nuovo svago.

Per impedire che il popolo scopra da sé una qualsiasi nuova linea d'azione politica, lo terremo distratto con varie forme di divertimenti: ludi ginnici, passatempi, passioni di vario genere, osterie e via discorrendo.
Fra poco principieremo a mettere degli avvisi nei giornali invitando il popolo a competere in ogni genere di nuove imprese, come ad esempio alle gare artistiche, di sport, ecc. Questi nuovi interessi distoglieranno definitivamente l'attenzione del pubblico dalle questioni che potrebbero metterci in conflitto con la popolazione. Il popolo, siccome perderà a poco a poco la facoltà di pensare con la sua testa, griderà compatto insieme a noi, per l'unica ragione che saremo i soli membri della società in grado di promuovere nuove linee di pensiero.

PROTOCOLLO XV

Il nostro progetto di mutare spesso i giudici, ci gioverà anche per impedire la formazione di qualsiasi associazione fra essi; quindi lavoreranno soltanto nell'interesse del governo, ben sapendo che da ciò dipende il loro avvenire.

PROTOCOLLO XVI

Allo scopo di distruggere qualunque specie di impresa collettiva che non sia la nostra, annienteremo sul loro nascere le opere collettive; vale a dire, che trasformeremo le università e le riedificheremo secondo i nostri piani. I rettori delle università, nonché i professori di esse, saranno preparati in modo speciale per mezzo di elaborati e segreti programmi d'azione, nei quali saranno istruiti e dai quali non potranno deviare impunemente. La massima cura sarà posta nella loro scelta, e dipenderanno interamente dal governo.

Quando saremo al potere, toglieremo dai programmi educativi tutte le materie che potrebbero turbare lo spirito dei giovani, e li ridurremo ad essere dei bimbi obbedienti, i quali ameranno il loro sovrano ed in lui riconosceranno il sostegno principale della pace e del benessere pubblico.

La base fondamentale del nostro programma educativo sarà l'insegnamento di ciò che si riferisce alla vita pratica, alla organizzazione sociale, alle relazioni fra uomo e uomo; faremo pure conferenze contro i cattivi esempi egoistici, che sono contagiosi e causa di mali; come anche su altre questioni simili relative all'istinto. Questi programmi saranno tracciati in modo differente per le differenti classi e caste, perché l'educazione di esse dovrà essere ben distinta. Importa moltissimo di insistere su questo punto, che ogni classe, o casta, dovrà essere educata separatamente, secondo la sua speciale condizione ed il suo lavoro.

PROTOCOLLO XVIII

Il nostro sovrano sarà sempre in mezzo al suo popolo ed avrà l'apparenza di essere circondato da una folla indiscreta di uomini e di donne, che per puro caso, in apparenza, occuperà sempre le file più prossime a lui, tenendo così indietro il resto della gente, soltanto per conservare l'ordine.

PROTOCOLLO XXIV

Perché tutti i sudditi amino e venerino il loro Sovrano, egli dovrà spesso parlare in pubblico.


martedì 15 settembre 2009

Introduzione all’algebra

L’addition

LE CLIENT
Garçon, l'addition!

LE GARCON
Voilà (Il sort un crayon et note). Vous avez... deux oeufs durs, un veau, un petit pois, une asperge, un fromage avec beurre, une amande, un café filtre, un téléphone.

LE CLIENT
Et puis des cigarettes!

LE GARCON
(Il commence à compter) C'est ça même... des cigarettes... ...Alors ça fait...

LE CLIENT
N'insistez pas, mon ami, c'est inutile, vous ne réussirez jamais.

LE GARCON
!!!

LE CLIENT
On ne vous a donc pas appris à l'école que c'est mathé-ma-ti-que-ment impossible d'additionner des choses d'espèce différente !

LE GARCON
!!!

LE CLIENT
(élevant la voix) Enfin, tout de même, de qui se moque-t-on?... Il faut réellement être insensé pour oser essayer de tenter d'additionner un veau avec des cigarettes, des cigarettes avec un café-filtre, un café-filtre avec une amande verte et des oeufs durs avec des petits pois, des petits pois avec un téléphone... Pourquoi pas un petit pois avec un grand officier de la Légion d´honneur, pendant que vous y êtes ! (Il se lève).
Non, mon ami, croyez-moi, n'insistez pas, ne vous fatiguez pas, ça ne donnerait rien, vous entendez, rien, absolument rien... pas même le pourboire! (Et il sort en emportant le rond de serviette à titre gracieux.)

(Jacques Prévert, Histoires)


Il conto

IL CLIENTE
Cameriere, il conto!

IL CAMERIERE
Ecco qua (estrae una matita e segna). Avete preso… due uova sode, carne di vitello, piselli, asparagi, un formaggio con il burro, mandorle, un caffè-filtro, una telefonata.

IL CLIENTE
E anche delle sigarette!

IL CAMERIERE
(Comincia a fare i conti) Sì, anche quelle… delle sigarette… … Allora, in totale…

IL CLIENTE
Non insistete, amico mio, è inutile, non ci riuscirete mai.

IL CAMERIERE
!!!

IL CLIENTE
Non vi hanno dunque mai insegnato a scuola che è mate-ma-ti-ca-mente impossibile sommare cose di tipo diverso!

IL CAMERIERE
!!!

IL CLIENTE
(alzando la voce) Insomma, allora, chi si prende in giro?… Bisogna proprio essere insensati per voler provare a sommare un vitello con delle sigarette, delle sigarette con un caffè-filtro, un caffè-filtro con una mandorla verde e delle uova sode con dei piselli, dei piselli con una telefonata… Perché allora non un piatto di piselli con un grand’ufficiale della Legione d’Onore, visto che ci siete! (si alza).
No, caro amico, credetemi, non insistete, non stancatevi, non otterrete nulla, mi capite, nulla, proprio nulla… neanche la mancia! (E se ne va, prendendo in omaggio il sottobicchiere di carta).

lunedì 14 settembre 2009

Carnevale della Matematica n. 17


La nobile rivista online di divulgazione scientifica Gravità Zero ospita questo mese il Carnevale della Matematica, giunto alla diciassettesima edizione. Inutile sottolineare la varietà e la qualità dei contributi, inviati da Jolek, Dioniso, Annarita Ruberto di Matematic@mente, zar, i Rudi Matematici, Giovanna Arcadu di Matematicamedie, Popinga (cioè io), .mau., cioè Maurizio Codogno (fondatore del Carnevale), e, naturalmente, dallo staff di Gravità Zero (Rossella Coletto, Walter Caputo, Carlo Ferri). Un clic sul collegamento sopra riportato è quanto mai raccomandato e opportuno.

domenica 13 settembre 2009

Le zirudèle geologiche di Edoardo Semenza


Edoardo Semenza (1927-2002), figlio dell’ingegner Carlo Semenza, progettista e costruttore della diga del Vaiont, fu il geologo che scoprì la grande frana del Monte Toc nell’agosto 1959, ipotizzando che potesse muoversi nuovamente con il riempimento del lago ("Papà sono 50 milioni di metri cubi"). Quattro anni dopo il suo inascoltato avvertimento, cui si opponevano le rassicurazioni di alcuni baroni dell’italica geologia, il 9 ottobre 1963, la frana scivolò nel bacino artificiale, provocando una delle più grandi tragedie della nostra storia recente. Semenza ha insegnato per più di quarant’anni all’Università di Ferrara varie materie geologiche, in particolare Geologia applicata. La sua attività non si è limitata alle ricerche e alla formazione accademica, ma si è realizzata sul campo con numerosi studi e interventi di sistemazione di versanti in frana, sempre guidato dall’idea, maturata proprio al Vaiont, che lo studio approfondito della geologia prima della progettazione di qualsiasi lavoro di ingegneria civile è fondamentale per la prevenzione dei disastri che solo l’ignoranza o l’interesse definiscono poi naturali.

Semenza è stato autore di moltissime pubblicazioni scientifiche, editi anche su riviste straniere, ma me ne occupo per un libretto dalla copertina di cartone grezzo che diede alle stampe nel 1983 per la Pitagora Editrice di Bologna, dallo strano titolo Quant’è bella geologia! Ve lo dico in poesia… - Zirudèle geologiche. Si tratta, come promette il titolo, di zirudèle, poesie umoristiche in versi ottonari con rima baciata, suddivisi in quartine, tipici della tradizione popolare dell’Emilia orientale (Bologna, Modena, Ferrara). Semenza le scriveva in italiano (ma anche in tedesco e latino italianizzati!), soprattutto durante le pause dei convegni geologici e delle relative escursioni cui partecipava, per poi recitarle alla fine dei pranzi conviviali, che, com’è tradizione dei geologi di tutto il mondo, suggellano l’impegno scientifico con abbondanti mescite di vino(1).

Naturalmente, date la modalità e lo scopo delle composizioni, la qualità letteraria non è eccelsa, ma l’originalità delle poesie di Semenza ne fa forse l’unico successore di Alberto Cavaliere, autore della celebre Chimica in versi, alla quale tempo fa ha dedicato un articolo Dario Bressanini sul suo blog.

Le zirudèle di Semenza sono suddivise in base alla data e all’occasione in cui furono scritte e sono precedute da una breve introduzione che spiega gli avvenimenti. Spesso sono citati i nomi di suoi colleghi, in particolare quello di Alberto Castellarin, oggi decano del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Bologna, che scrisse la divertita presentazione dell’opera. Presento le poesie scritte in due occasioni, affidando alle note la spiegazione dei concetti o dei nomi ignoti ai non addetti.

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LA BATTAGLIA DEL SOLSTIZIO
Roma, 20-21 dicembre 1977

Se non sbaglio, con questo nome fu chiamata la battaglia scatenata dagli austriaci sul Grappa attorno al solstizio d'inverno del 1917. Un niente in confronto con il dramma geologico che continuamente si svolge nella collisione e nella subduzione tra le placche. Molto di più, invece, di quella combattuta sessantanni dopo nell'aula magna del C.N.R. tra geologi e geofisici da una parte, e chi (assente) ci aveva spedito il sig. Zimei, portatore di una strana teoria, comparsa anche sui giornali, che pretende di individuare la causa dei terremoti nella "ipercolazione", ossia con la penetrazione forzata (da chi?) dell'acqua nel sottosuolo (!). Andreotti, allora presidente del consiglio, evidentemente investito della questione, non essendo in grado di giudicare, aveva indirizzato lo Zimei alla direzione del progetto Finalizzato Geodinamica; ma molti nell'assemblea si sentirono offesi per questa presenza non qualificata e per questa teoria palesemente sballata, e cominciarono ad inveire contro il mittente!

Dell'inverno nel solstizio
a qualcun venne lo sfizio
di riunire mezza Italia,
per studiar la gran battaglia

che tra lor (gaudio e contento!)
fan le placche in movimento.
Chi le muove? Subduzione,
o soltanto lo Scandone?

Con quell'aria da profeta (2)
tutto ei sa dall'A alla Zeta,
e perciò nel Geodinamico
ha il coltello per il manico:

sprizza i magmi, fa gli scoppi,
e profili, non mai troppi,
e profondi press'a poco
giù giù giù, fino alla Moho; (3)

sì da fare, bene o male,
un modello strutturale;
ma non fermo, come un plastico,
bensì vivo, palinspastico.(4)

Tutto ei pensa, vede e sente,
e non lascia indietro niente;
tutto invece spinge avanti...
e ci rompe tutti quanti!

Sinché infin, tra gli altri nei,
ci regala lo Zimei,
che con l'ipercolazione
spiega tutta la questione.

Qui divampa la polemica,
e si insinua la politica,
che di ciò vuoi fare un perno
per girare anche il governo!

Ma alla fin della manfrina
Scriverem ‘na letterina,
sol per dire ad Andreotti
Che Zimei ci ha un poco rotti!

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LA VERA STORIA DELLA FRANA DI ANCONA
del 13 dicembre 1982
(con licenza dei superiori)

La "poesia dello scandalo". Mi ha detto, qualche giornalista, che son stato crudele, e anche scemo. Ma in verità io ho voluto soltanto riassumere in versi quel che c'è nella relazione di Crescenti et al. (tra questi al. ci sono anch'io) magari propendendo piuttosto decisamente per una delle due interpretazioni là riportate (la mia); e se c'è scappata qualche rima divertente, che male c'è? Comunque la responsabilità è di tutti, dato che tutti han voluto che la facessi (la "poesia"), e una volta fatta l'han voluta allegare alla relazione. Certo chi ha fatto viste di scandalizzarsi, credo che fosse soprattutto seccato per il contenuto della relazione..., ma lasciamo perdere. Altri han detto che mi diverto a scherzare sulle disgrazie altrui: direi di no. Però forse c'è un po' di "deformazione professionale". Come un medico, davanti a una malattia ben evidente e ben diagnosticabile, dice ai colleghi: «vedeste che bella polmonite!», così vedendo la frana dì Ancona, non ho potuto fare a meno di dire a tutti: «vedeste che bello scivolamento rotazionale, da manuale!» Ma uno che si occupa di frane, dovrebbe piangere tutto il giorno? E poi io credo veramente che si possa rimediare: alla frana intendo, non allo scandalo. Comunque non son stato io a provocarlo!

Fu Montàgnolo per gli avi (5),
che ci fecero gli scavi,
ma l'immemore figliolo
l'ha chiamato Montagnòlo!

È per voglia di vendetta
che ha mollato giù una fetta?
Veramente ci son prove
che non sono cose nuove,

perché quello ch'è accaduto
poco o tanto ha ripetuto
fatti noti e pubblicati
fin dai secoli passati!

Verso il monte una scarpata
assai ripida e striata;
poi ripiani basculati
con ristagni mal drenati,

ed il piede rigonfiato,
che la strada ha sollevato,
e incurvato anche i binari
della via Bologna-Bari.

È una sindrome evidente
di una frana scivolante
lungo un piano principale
che va in giù, rotazionale,

e rIsale verso il mare;
ma altro piano similare,
a metà, e da lunga data,
la gran massa ha ritagliata.

Non ha fatto un gran percorso
(nel dicembre ultimo scorso),
ma è una massa colossale,
e al contatto fa un gran male!

Sopra, trovi distensione,
alternata a compressione:
qua, una fossa sprofondante,
là, più ripido è il versante;

e ritrovi un gran corteggio
di franette, che fan peggio.
Son dei tipi più svariati
(fettolini scivolati,

colatine sbrodolate
e anche fette ribaltate)
che han prodotto gran misfatti
alle case e ai manufatti.

Tutto questo ha interessato
un contesto già fagliato,
e fiaccato (il fatto è noto)
da un gagliardo terremoto (6).

Ma la causa scatenante
della frana più recente
certo è l'acqua penetrata
nell'argilla screpolata:

rigonfiossi, e la pressione (7)
ebbe gran diminuzione;
pur l'attrito s'annullò,
e il fettone scivolò.

Scesa a valle la gran fetta,
i geologi in gran fretta
d'ogni dove sono accorsi,
a tenere i lor discorsi;

ma un gruppetto si è trovato
a raccoglier qualche dato,
e a dar l'interpretazione,
per contarla alle persone (8).

Nel frattempo il Cienneerre
fa studiare queste terre
con analisi e sondaggi
sparpagliati nei paraggi;

cosicché non sarem senza
di una valida sentenza,
che permetterà un futuro
ben più stabile e sicuro

per il verde Montagnòlo
(o Montàgnolo); e sul suolo
di Borghetto e Posatora (9)
si potrà contare ancora (!?)

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(1) Il sottoscritto, laureatosi in scienze Geologiche a Milano, ricorda le assidue frequentazioni di tutti gli studenti in una bottiglieria poco lontana dall’Istituto di piazza Gorini. Per alcuni, uno dei principali problemi delle esercitazioni e delle lezioni pomeridiane era vincere il sonno (e non sempre era colpa dei docenti).

(2) Paolo Scandone, Professore ordinario di Geologia strutturale all’Università di Pisa, vestiva allora sgargianti camicioni un po’ “alternativi”.

(3) Con Moho si indica per comodità la discontinuità di Mohorovicic, dal nome del geofisico croato che la scoprì. È una discontinuità alla base della crosta terrestre, in corrispondenza della quale si verifica un brusco aumento della velocità delle onde sismiche, in particolare di quelle longitudinali (onde P). Il brusco cambiamento delle caratteristiche elastiche viene spiegato con una variazione di composizione delle rocce alla base della crosta, dove comincia il mantello. La Moho è mediamente a circa 30-50 km di profondità, ma risale anche a meno di 10 km al di sotto degli oceani, mentre sotto le catene montuose può raggiungere i 70 km.

(4) In ambito geologico una ricostruzione palinspastica o carta palinspastica è una mappa paleogeografica con la ricostruzione della disposizione originaria degli strati geologici di un'area geografica, prima che ad essi venisse applicata una spinta tettonica deformante.

(5) Cfr. F. De Bosis, Il Montagnolo: studi e osservazioni, Enciclop. Contemp., Gabrielli, Fano, 1859

(6) La sera del 25 gennaio 1972 un terremoto del 7° grado della scala Mercalli colpì la città di Ancona. Iniziò una lunga serie di scosse telluriche che durarono fino al novembre successivo, anche più forti rispetto a quella iniziale. La lunga durata, oltre che l'intensità, di questa serie sismica fu disastrosa per la città, anche se non ci furono vittime. Gran parte degli edifici fu lesionata in modo più o meno grave.

(7) Semenza si riferisce alla pressione efficace. Il comportamento meccanico dei terreni saturi è controllato dalla differenza tra la pressione totale e la pressione dell’acqua, definita pressione efficace. Effetti misurabili quali una variazione di volume, una distorsione o la resistenza a taglio sono dovuti esclusivamente ad una variazione di pressione efficace.

(8) Si tratta della relazione alla quale fu allegata questa zirudèla.

(9) Sono i rioni di Ancona interessati dal movimento franoso, caratterizzati da terreni tradizionalmente considerati instabili, sui quali l’imprevidenza delle amministrazioni dell'epoca aveva consentito l'espansione edilizia e localizzato due ospedali, il distaccamento della Polizia Stradale e la sede della facoltà di Medicina. Ora a Posatora, al posto degli edifici demoliti, sorge il nuovo parco Belvedere.


venerdì 11 settembre 2009

Errata corrige

A causa del passaggio da un programma di videoscrittura all’altro, l’articolo Matematica e società è risultato costellato di errori. Si invita pertanto il lettore a prendere nota delle seguenti correzioni:

Riga 16: leggere Riemann invece di Rimini.

Riga 22: leggere rapporto dei numeri invece di numero dei rapporti.

Riga 35: leggere Borges invece di Borghezio.

Riga 46: leggere ignorabimus invece di ignoranti.

Riga 50: leggere nomi invece di Noemi.

Riga 55: leggere asse O invece di asshole.

Ultima riga: leggere zero invece di Gelmini.

Nello scusarmi per la spiacevole serie di equivoci che la pubblicazione può avere ingenerato, assicuro che il problema informatico è stato risolto e che quindi errori simili non potranno più verificarsi.

Corrigendum: l’errore di riga 35 va letto alla riga 53.

martedì 8 settembre 2009

I due amori di Sofia K.



Sofia Krukovsky Kovalevskaya (1850-1891) fu non solo una grande matematica, ma anche una scrittrice dotata e una sostenitrice dei diritti delle donne. La sua battaglia per farle accedere a ogni grado dell’istruzione iniziò ad aprir loro le porte delle università. Inoltre, i suoi innovativi risultati in matematica fecero in modo che i colleghi cominciassero a riconsiderare le loro prevenzioni riguardo al ruolo femminile in campo scientifico.

Sofia Krukovsky nacque nel 1850 a Mosca da una famiglia della piccola nobiltà russa. Aveva otto anni quando suo padre, che era generale dell’artiglieria, andò in pensione e si trasferì con la famiglia in una tenuta a Palibino, presso il confine lituano. Fu lì che Sofia iniziò molto presto il suo rapporto con la matematica. Sofia avrebbe poi raccontato di essere rimasta colpita nell’intimo dalle vecchie note di calcolo differenziale e integrale di suo padre, incollate sulle pareti nella stanza dei bambini a causa della scarsità di tappezzeria. Indicò anche nello zio Piotr, che si fermava spesso a discutere con lei di numerosi concetti relativi ai numeri, come colui che trasformò la sua prima fiammella in un incendio. Nella sua autobiografia, Sofia avrebbe poi scritto: “Il significato di quei concetti non lo potevo di sicuro cogliere, ma essi agirono sulla mia immaginazione, instillandomi una venerazione per la matematica come scienza esaltante e misteriosa che apre ai suoi iniziati un nuovo mondo di meraviglie, inaccessibile ai comuni mortali”. All’età di quattordici anni imparò da sola la trigonometria per comprendere la sezione dedicata all’ottica di un libro di fisica che stava leggendo. Il professor Tyrtov, autore del libro e vicino di casa dei Krukovsky, rimase assai impressionato dalle capacità della giovane e convinse suo padre a permetterle di frequentare la scuola a San Pietroburgo per continuare gli studi di calcolo.

Dopo aver concluso le scuole secondarie, Sofia era determinata a continuare la propria formazione a livello universitario. Le università più vicine aperte alle donne erano tuttavia in Svizzera, e alle donne giovani e nubili le convenzioni sociali non consentivano di viaggiare da sole. Per risolvere il problema, nel settembre 1868, Sofia fece un matrimonio di convenienza, maturato negli ambienti politici radicali frequentati da lei e dalla sorella maggiore Anja, con il ventiseienne Vladimir Kovalevsky. Per i primi mesi dopo il matrimonio la coppia rimase a San Pietroburgo, dove Sofia frequentava i corsi universitari quasi in incognito, poi si spostò a Heidelberg, dove Sofia si fece una piccola fama per la sua competenza, mentre Vladimir studiava geologia. La sua richiesta di essere ammessa a seguire i corsi costrinse il senato accademico della città universitaria tedesca alla risoluzione di consentire ai singoli insegnanti di accettare donne tra i loro studenti, purché in modo non ufficiale: un primo timido passo verso la parità. Contemporaneamente seguiva i corsi di fisica di Kirchoff e Helmholtz, potendo così apprezzare le possibili applicazioni della matematica.

Nel 1870 Sofia decise di voler seguire il corso tenuto da Karl Weierstrass all’Università di Berlino, mentre Vladimir avrebbe proseguito gli studi a Jena. Weierstrass era considerato uno dei più celebri matematici del tempo, e inizialmente non prese la giovane russa nella dovuta considerazione. Solo perchè Sofia portava con sè una lettera di presentazione di Leo Koeninsberg, il suo docente di Heidelberg, Weierstrass accettò di metterla alla prova, dandole da risolvere alcuni problemi sulle funzioni iperellittiche che aveva appena spiegato ai suoi studenti. Le brillanti soluzioni di Sofia lo fecero ricredere. Immediatamente iniziò a tenere per lei delle lezioni private due volte la settimana, perché l’università di Berlino ancora non consentiva l’iscrizione alle donne, né permetteva loro di seguire i corsi in forma non ufficiale. Sofia studiò con Weierstrass per quattro anni. Commentando questo periodo, la Kovalevskaya avrebbe scritto: “Questi studi ebbero la più profonda influenza possibile sulla mia intera carriera matematica. Essi determinarono in modo decisivo e irrevocabile la direzione che avrei dovuto seguire nel mio successivo lavoro scientifico: tutta la mia attività è stata condotta precisamente nello spirito di Weierstrass”.

Alla fine di quei quattro anni Sofia aveva prodotto tre opere, tutte controllate e accettate dal suo insegnante, nella speranza di ottenere il diritto a discutere una tesi di laurea. La prima di queste, Sulla teoria delle equazioni differenziali parziali, fu persino pubblicata nel 1875 sull’autorevole rivista Journal für die reine und angewandte Mathematik, “Giornale di matematica pura e applicata”, un onore grandissimo per un matematico sconosciuto. Nell’articolo, la Kovalevskaya aveva generalizzato un problema che era stato posto da Cauchy. Egli aveva esaminato un teorema di esistenza per le equazioni differenziali parziali, e Sofia aveva generalizzato i risultati di Cauchy a sistemi di ordine r contenenti derivate rispetto al tempo di ordine r. Henry Poincaré commentò il lavoro dicendo che “La Kovalevskaya ha semplificato in modo significativo la dimostrazione e fornito al teorema la sua forma definitiva”. La sua generalizzazione oggi è nota come teorema di Cauchy-Kovalevskaya.

Nel 1874 ottenne la laurea all’università di Gottinga. Nonostante questo riconoscimento, il fatto di aver pubblicato un lavoro assai prestigioso, e l’aiuto di Weierstrass, che era ora entusiasta (e un po’ innamorato) della sua allieva, ella non riuscì a trovare un lavoro. Allora Sofia e il marito decisero di ritornare presso la famiglia di lei a Palobino. Ma l’unica occasione di lavoro che le si presentò in Russia fu quella di docente di aritmetica presso una scuola elementare femminile, offerta che declinò dicendo di essere “sfortunatamente assai debole con le tabelline”. A complicare la situazione, poco dopo il suo ritorno, il padre morì improvvisamente, lasciando una piccola eredità che Vladimir investì in alcune speculazioni finanziarie. Fu in questo periodo di dolore e difficoltà che Sofia e Vladimir si innamorarono per davvero. Dal loro matrimonio nacque una figlia, Sofia Vladimirovna, nell’ottobre 1878.

Durante il suo soggiorno a casa, Sofia abbandonò temporaneamente la matematica, sviluppando invece il suo talento letterario. Si dedicò al racconto, alle critiche letterarie e teatrali e agli articoli scientifici per la rivista Tempi Nuovi. All’origine di questa nuova passione c’è anche la frequentazione di Dostoijevsky, amico di famiglia. In una lettera scritta verso la fine della sua vita, la Kovalevskaya spiega efficacemente la sua doppia vocazione: “Chi non ha mai avuto occasione di approfondire la conoscenza della matematica, la confonde con l'aritmetica e la considera un'arida scienza. In realtà è una scienza che richiede molta immaginazione. Uno dei matematici più eminenti del nostro secolo osserva giustamente che sarebbe impossibile essere un matematico senza avere anche l’anima di un poeta. E' necessario rinunciare all'antico pregiudizio secondo il quale il poeta deve inventare qualcosa che non esiste, che immaginazione e invenzione sono la stessa cosa. A me pare che il poeta deve soltanto percepire qualcosa che gli altri non percepiscono, vedere più lontano degli altri. E il matematico deve fare la stessa cosa. Quanto a me, non sono mai stata capace di scegliere tra la mia passione per la matematica e quella per la letteratura”. Una prova di questo intersecarsi di passioni è la curiosa prosa che si trova in una lettera al cognato: “Data una funzione (la felicità, nel nostro caso) che dipende da numerose variabili (come le nostre risorse economiche, la possibilità di vivere in bel posto e di frequentare amici piacevoli, ecc.), come determinare le variabili in modo che la funzione raggiunga il suo massimo? Inutile dire che siamo incapaci di risolvere matematicamente questo problema”.

Nel 1880 Sofia ritornò alla matematica con nuovo entusiasmo. Su invito del matematico russo Cebyshev, presentò un suo lavoro sugli integrali di Abel a una conferenza scientifica a San Pietroburgo, ottenendo giudizi molto positivi. Ancora una volta si trovava di fronte al dilemma se dedicarsi alla famiglia oppure trovare un incarico per dedicarsi a ciò che più amava: la matematica. Decise di tornare da sola a Berlino presso Weierstrass, mentre il rapporto con Vladimir era praticamente finito. Non era là da molto tempo quando fu raggiunta dalla notizia della morte del marito, che si era suicidato a causa di un improvviso tracollo finanziario. Il dolore spinse Sofia a dedicarsi alla matematica con una passione ancora più grande di prima.

Per fortuna, nel 1883 le cose per Sofia ebbero una svolta positiva. Ricevette infatti un invito come professore incaricato alla nuova Università di Stoccolma da parte di un conoscente e vecchio studente di Weierstrass, lo svedese Gosta Mittag-Leffler, nel frattempo divenuto capo dell’appena istituito dipartimento di matematica. All’inizio si trattava di un incarico temporaneo (il primo anno neppure retribuito), ma alla fine dei cinque anni previsti, Sofia aveva dimostrato ampiamente il suo valore, smentendo i critici come il drammaturgo August Strindberg, che aveva accolto sferzante la sua nomina con le parole “Sofia Kovalevsky dimostra, in modo lampante, come due più due fa quattro, che un professore femmina è un fenomeno pernicioso e sgradevole, direi persino una mostruosità”. Giunsero allora alcune soddisfazioni.


Ottenne la cattedra di Analisi Superiore nel luglio 1884, divenne editor della nuova rivista Acta Mathematica, pubblicò uno studio di cristallografia scritto anni prima a Berlino (nel quale l’italiano Vito Volterra nel 1916 avrebbe tuttavia trovato un grave errore) e, nel 1885, le fu assegnata anche la cattedra di Meccanica. Nello stesso periodo fu autrice con l’amica Anna Leffler, sorella di Gosta, attivista femminista e futura sua biografa, di un'opera teatrale intitolata La lotta per la felicità. Fu l’inizio di una collaborazione letteraria che si concretizzò in articoli di viaggio, poesie (dominate dai temi della morte, del sacrificio, dell’amore sfortunato e dell’emancipazione femminile) e progetti falliti, come quello del dramma Quando la morte non ci sarà più, che fu rifiutato da tutti i teatri svedesi e stroncato dalla critica. A turbare questo periodo furono anche le accuse di scarso senso materno: sua figlia la raggiunse a Stoccolma solo quando aveva otto anni.

Nel 1887 l’attendeva la notizia drammatica della morte della sorella Anja, alla quale era molto legata, che provocò la sua prima crisi depressiva. Fortunatamente, poco tempo dopo Sofia ottenne il suo più grande trionfo personale. L’anno successivo, infatti, vinse il Premio Bordin dell’Accademia Francese delle Scienze per il suo lavoro Sulla rotazione di un corpo solido intorno a un punto fisso. Prima di quelle fornite dalla Kovalevskaya, le uniche soluzioni note sulla rotazione di un corpo rigido attorno a un punto riguardavano solo due casi in cui esso è simmetrico. Nella sua pubblicazione, Sofia sviluppò la teoria per un corpo asimmetrico, in cui il centro di massa non è sul suo asse. Lo studio fu così apprezzato che il premio previsto fu portato dai 3000 previsti a 5000 franchi.

Intanto un nuovo amore entrava nella sua vita: l’avvocato Maxim Kovalevsky, lontano parente del marito. Egli era stato allontanato dall’incarico all’Università di Mosca a causa delle sue idee politiche liberali ed era giunto a Stoccolma per un ciclo di lezioni. Conobbe Sofia e i due ebbero una chiacchierata relazione. La professione portava via Maxim da Stoccolma ed egli pretendeva che Sofia lasciasse la posizione guadagnata a fatica per seguirlo ed essere semplicemente sua moglie. Sofia rifiutò quest’idea, ma non poteva sopportare la perdita dell’amato. Il problema fondamentale era che entrambi erano troppo appassionati del loro lavoro per sacrificarlo all’amore. Sofia cadde in una nuova crisi depressiva, alla quale reagì con la scrittura.

In Francia, nella villa di Maxim, che periodicamente lei andava a trovare, concluse Ricordi d’infanzia in russo. Si tratta di un racconto autobiografico in cui Sofia fornisce una descrizione assai dettagliata della sua infanzia fino ai diciotto anni. Il quadro della vita di una famiglia agiata dell’aristocrazia è assai accurato, e non mancano giudizi severi su una vita “noiosa, oziosa e isolata”. Dal racconto emergono le aspirazioni d’indipendenza di Sofia e della sorella e i loro contrasti con il padre. Vengono descritti anche gli incontri con Dostoijevsky, al quale ella mostra le poesie che aveva composto. Afferma anche di aver lungamente studiato la sonata per pianoforte Patetica di Beethoven per suonarla davanti all’uomo di lettere. Lo stile di Dostoijevsky emerge in certe pagine in cui Sofia descrive l’assassinio di una zia, massacrata dai servi a causa della sua tirannia, oppure quando ricorda una giovane domestica ingiustamente frustata e licenziata per un furto che non aveva commesso.

Nel 1889 tentò di ritornare in Russia, ma, nonostante i matematici del suo paese fossero riusciti a far accettare, con uno strappo alle rigide convenzioni maschiliste, la sua domanda di divenire corrispondente esterna dell’Accademia Imperiale delle Scienze, non le fu offerto alcun incarico accademico. Nell’autunno dello stesso anno si rassegnò ad accettare il rinnovo del suo incarico a Stoccolma. Era ancora in crisi per la perdita di Maxim, anche se ogni tanto si recava in Francia per trovarlo. Nel 1890 scrisse in svedese il romanzo Una ragazza nichilista. Nell’opera Sofia sviluppa ampiamente le sue idee ribelli. L’eroina, Vera Voronzov, è assai simile a lei e i suoi ideali traspaiono sotto quelli del personaggio principale. Il testo mette in luce il contesto politico e sociale degli anni 1860-1870 e presenta chiaramente i motivi che porteranno la Russia verso un epilogo rivoluzionario. La descrizione e l’analisi dei sentimenti è sottile, testimoniando una grande sensibilità dell’autrice. Lo stile piacevole è reso ancor più vivo dai frequenti cambiamenti del soggetto narrante (l’autrice si alterna all’eroina). Sofia aveva in mente altri progetti letterari, come l’opera teatrale Fino alla morte, dopo la morte, iniziato a scrivere da sua sorella Anja prima di morire e che neanche lei riuscirà a concludere, oppure una biografia del padre. Ma tutti questi programmi sarebbero rimasti tali.


La Kovalevskaya morì improvvisamente il 10 febbraio 1891, di ritorno da un viaggio in Francia per vedere Maxim, durante il quale aveva contratto una polmonite diagnosticata troppo tardi. La comunità scientifica pianse la sua perdita, mentre il ministro russo dell’interno commentò astiosamente che si dedicava troppa importanza a una donna che, in fondo, era stata una nichilista.

Durante la sua vita aveva pubblicato dieci lavori scientifici che contenevano teorie innovative o lo spunto per nuove scoperte. Il presidente dell’Accademia delle Scienze francese, che le aveva assegnato il premio Bordin, ebbe a dire: “Tutti noi abbiamo riscontrato che il suo lavoro è la testimonianza non solo del suo sapere vasto e approfondito, ma di una mente di grande inventiva”.

Sofia Kovalevskaya aveva avuto due amori: più di Vladimir e Maxim, essi furono la matematica e la letteratura.