martedì 29 maggio 2012

American Zichicche


ResearchBlogging.orgI tentativi del potere religioso di cristianizzare culture e idee diverse sovrapponendosi ad esse hanno quasi due millenni di storia. Basta pensare al processo di assorbimento di riti, luoghi e date importanti delle tradizioni precedenti l’evangelizzazione, spesso forzata, di molte regioni del mondo. Così oggi festeggiamo le ricorrenze dei Santi e dei Morti negli stessi giorni in cui i Galli celebravano il loro Samonios, celebriamo il Natale nella stessa data della festività di epoca imperiale del Sol Invictus, oppure ammiriamo chiese costruite sopra antichi templi romani o aztechi. Ogni aspetto della società deve essere cristianizzato, incluso nel piano divino, secondo la visione totalizzante della religione, salvo espellere come demoniaco ciò che non può essere ricondotto a questo progetto. 

Rispetto al pensiero scientifico, che nella sua accezione moderna si è sviluppato almeno a partire da Francesco Bacone nel XVI secolo, il cristianesimo ha lungo vacillato tra indifferenza e diffidenza, fino a quando esso è diventato un elemento sociale e culturale fondamentale e perciò non più esorcizzabile. Se per gli illuministi l’ipotesi di Dio, come ebbe a dire Laplace, poteva non essere presa in considerazione, fu la forza delle loro idee e lo sviluppo correlato della scienza e delle tecnologia che costrinsero i credenti (non ancora i teologi!) a confrontarsi con l’oggettività e la democrazia prevalenti tra gli sperimentatori, tutti abbastanza insofferenti del principio di autorità insito nel pensiero religioso. Nell’800 in Inghilterra e Francia nacquero i primi tentativi di conciliare scienza e teologia, che coinvolsero scienziati importanti, in gran parte destinati ad acrobazie concettuali per conciliare l’inconciliabile: la fede in dogmi e verità rivelate e il quotidiano e faticoso tentativo di capire come funzionano le cose e il mondo, facendo affidamento sullo studio e l’esperienza. 

L’opera di mistificazione continua ancor più ai giorni nostri, nei quali la religione ha, almeno in occidente, finito di essere il riferimento fondante delle società umane (è questo il senso della cosiddetta “morte di Dio”) e si regge più sulle complicità con il potere politico, economico e mediatico che sull’autentica testimonianza di fede di tanti uomini e donne, ai quali vanno il mio profondo rispetto e la mia accorata esortazione a non essere gli utili idioti del potere. Dal punto di vista ideologico la religione deve ogni giorno confrontarsi con una società sempre più secolarizzata, della quale la scienza e la tecnologia, pur tra mille contraddizioni, costituiscono il riferimento obbligato.


Per questa guerra delle idee, le armi e le strategie utilizzate dal potere religioso sono diverse, a seconda dei contesti e dei terreni di battaglia. Si va infatti dalla scelta della sfida in campo aperto, come avviene tra gli integralisti americani nei confronti dell’evoluzionismo, o tra i cattolici nel campo del controllo dei momenti di passaggio fondamentali della vita umana (concepimento, nascita, morte), alla scelta di tentare di conciliare scienza e religione, magari ricorrendo a qualche gioco di prestigio retorico per affermare la supremazia della seconda. Nasce così la figura del teologo scientifico, diffusa soprattutto tra gli evangelici anglo-americani, o del sedicente esperto di bioetica diffuso tra i cattolici, totalmente digiuno di bio- e convinto che l’unica etica esistente sia la sua. Esiste anche la figura dello scienziato credente, figura degna di rispetto finché nella sua attività riesce a tenere separati ricerca (e divulgazione) e le sue opinioni circa l’Aldilà, il che non sempre succede.

La figura dello scienziato credente non va confusa con quella dello scienziato militante religioso. In Italia assistiamo al potere mediatico e politico di chi, potendo contare sulle giuste amicizie, è riuscito a creare attorno a sé la leggenda dell’autorevole scienziato di Dio, fama accresciuta da un’incessante attività editoriale. Sì, sto parlando di Antonino Zichichi, che, tra le numerose sue imprese, è riuscito a scrivere un libro secondo il quale Galileo Galilei riuscì a essere uno dei padri della scienza moderna in quanto credente e cattolico, come se il processo da lui subito da parte dell’Inquisizione romana fosse una semplice multa per divieto di sosta, come se vent’anni prima non fosse stato bruciato vivo Giordano Bruno, come se non fosse mai esistito un Indice del libri proibiti nel quale finivano regolarmente (fino a cinquant’anni fa) tutte le opere scientifiche che contraddicevano in qualche modo i dogmi ecclesiastici. Straordinaria la faccia tosta di trasformare un “nonostante” in un “a causa di”. 

Questa mia lunga introduzione, non certo usuale per la presentazione di un articolo scientifico, è giustificata dal fatto che quello di cui sto per parlare NON è un articolo scientifico, anche se l’ho trovato su ArXiv (e mi chiedo come possa esservi finito). 

L’appropriazione di figure e scoperte del mondo della scienza ora si rivolge anche verso Albert Einstein e la relatività. Dello scienziato tedesco si è occupato recentemente Max L.E. Andrews, teologo della Liberty University di Lynchburg (Virginia), la più grande università confessionale americana, il quale ha recentemente pubblicato l’articolo Albert Einstein and Scientific Theology


Prima di analizzarne i contenuti, spendo qualche parola sul contesto culturale in cui nasce un lavoro simile. La Liberty University è una università il cui sito porta in esergo il motto teo-sportivo “Training Champions for Christ since 1971”, che già offre motivi di riflessione. Fondata appunto nel 1971 dal pastore Jerry Falwell Sr., e oggi retta dal figlio, il pastore Jerry Falwell Jr., essa opera nei settori “business, counseling, criminal justice, education, nursing, Christian ministry and more”. Per una chiara esposizione dei principi ispiratori dell’ateneo, consiglio la lettura della pagina Doctrinal Statement. Ora, mi si potrà obiettare con illustri esempi che l’attività scientifica di un’università può essere del tutto indipendente dalle idee che la ispirano, ma questo non mi sembra il caso, visto che a scrivere è un teologo e che per le lectiones invitano personaggi come il candidato repubblicano Mitt Rodney. 

L’articolo di Andrews si colloca nella corrente moderata del protestantesimo americano, in quanto sostiene che lo sviluppo scientifico degli ultimi secoli, basato sull’evidenza empirica e l’elaborazione teorica, ha sviluppato nuove visioni del mondo, con le quali la religione si è dovuta confrontare. Così, ad esempio, la chiesa cattolica ha accettato l’evoluzionismo e la cosmologia del Big Bang (Andrews ignora figure come quella del vicepresidente del CNR De Mattei, oppure la bizzarra idea di Zichichi secondo la quale l’evoluzionismo non può aspirare allo status di dottrina scientifica in quanto non è riconducibile a una trattazione matematica). Secondo l’autore, Albert Einstein ha avuto un impatto indelebile sul rapporto tra scienza e religione: la figura e le scoperte dello scienziato di Ulm hanno avvicinato i due ambiti e non hanno creato alcuna separazione; al di là delle sue idee personali in campo religioso, l’opera di Einstein avrebbe contribuito a rafforzare “l’armoniosa congiunzione tra scienza e religione”, che non può essere ignorata da scienziati e teologi. 

Einstein qualche volta usò metafore religiose per sostenere le sue idee, come quando, per sottolineare la sua difficoltà ad accettare la casualità insita nella meccanica quantistica scrisse a Bohr che “Dio non gioca a dadi con l’universo”, ma la sua visione religiosa era molto personale. Criticò l’ateismo dichiarato di Bertrand Russell, sostenendo che “La convinzione profondamente appassionante della presenza di un superiore potere razionale, che si rivela nell'incomprensibile universo, fonda la mia idea su Dio”. In un articolo sul New York Times Magazine del 9 novembre 1930, scrisse che “È difficile spiegare questo sentimento [la religione cosmica] a qualcuno che ne è completamente privo, specialmente se non esiste nessuna raffigurazione antropomorfica che possa corrispondere. (…) L'esistenza di ognuno di noi viene percepita come una specie di prigione e ricerchiamo un'esperienza dell'universo come un singolo significante tutto. I geni religiosi di tutte le epoche si sono distinti per questo tipo di sentimento religioso, che non concepisce né dogma né Dio a immagine dell'uomo; e così non ci possono essere chiese i cui principali insegnamenti siano basati su questi principi”. Il padre della relatività tuttavia non mescolò mai le sue idee religiose con la sua attività scientifica, e Andrews è abbastanza accorto da ammetterlo. La sua tesi non è rozza e non vuole appropriarsi di Einstein come persona, ma delle sue idee come scienziato. 


Per farlo, intavola una lunga discussione filosofica e ripercorre le tappe della nascita della teoria di Einstein per sostenere che l’assoluta separazione tra oggetto e soggetto della concezione prima meccanicista e poi positivista dell’universo è stata messa in crisi dalla relatività, che mette necessariamente in relazione il fenomeno osservato con l’osservatore. “In tutta l’opera di Einstein, l’universo meccanicista si dimostrò insoddisfacente. Ciò fu reso evidente dalla scoperta del campo elettromagnetico e dal fallimento della fisica newtoniana di spiegarlo con concetti meccanicisti. Poi ci fu la scoperta delle geometria quadridimensionale e, con essa, l’idea che le strutture geometriche della fisica newtoniana non potevano essere separate dai cambiamenti nello spazio e nel tempo che la teoria dei campi comportava. (…) Einstein utilizzò Newton e le equazioni differenziali di Maxwell nella teoria dei campi per sviluppare un tipo di razionalità chiamata invarianza matematica. L’invarianza matematica stabilì un’autentica ontologia nella quale il soggetto coglie le strutture oggettive e l’intrinseca intellegibilità dell’universo”

“Le categorie di Einstein non sono una qualche forma di a priori kantiano, ma concetti che sono liberamente inventati e si devono giudicare in base alla loro utilità, alla loro capacità di promuovere l’intelligibilità del mondo, che dipende dall’osservatore. La differenza tra il suo pensiero e quello di Kant sta proprio in questo fatto: Einstein comprende le categorie come invenzioni libere invece che come inalterabili (condizionate dalla natura della comprensione). Einstein dichiara che in fisica il reale va considerato come un tipi di programma, al quale non si è obbligati a legarsi a priori

Capita l’antifona? Con quei cattivoni di Newton e Kant dio era stato cacciato dalla casa della fisica, con Einstein egli può rientrare dalla finestra della libera invenzione! Sconfitto il dualismo epistemico, Einstein ridarebbe fiato alla teologia scientifica, curioso ossimoro che si ripete nell’articolo di Andrews, il quale può così affermare senza ritegno che “Se il mondo è in realtà una creazione di Dio, allora esiste un terreno ontologico per un impegno teologico nelle scienze della natura. Non è un impegno arbitrario, che regredisce all’impegno newtoniano, ma è un dialogo naturale, basato sulla fede fondamentale che il Dio di cui parla la teologia cristiana è lo stesso Dio che creò il mondo che le scienze naturali investigano”

Così l’autore può concludere che “L’influenza di Einstein sulla teologia naturale ha giocato un ruolo rivitalizzante fornendo dati matematici e fisici che supportano la conclusione metafisica che Dio esiste. L’impatto indelebile di Albert Einstein non ha separato la scienza dalla religione, al contrario, sembra che abbia fatto precisamente l’opposto”

E anche Einstein è arruolato nell’Armata del Bene.

Max L. E. Andrews (2012). Albert Einstein and Scientific Theology - arXiv: 1205.4278v2

martedì 22 maggio 2012

Sapere e agire: il Dizionario dell’ambiente


Ho trasferito con lo scanner la copertina della mia copia originale, segnata dal tempo e dall’uso. Questo libro ha infatti 32 anni, e per molti aspetti li dimostra anche nei contenuti, ma posso proprio dire che ha segnato la mia visione della scienza e del suo ruolo nella società. 

Era il 1980, alla conclusione di un decennio contraddittorio e confuso, segnato dalle stragi di Stato e dal terrorismo, ma anche da grandi conquiste nel campo dei diritti civili e dei lavoratori. Un decennio in cui si sviluppò finalmente anche in Italia una generale presa di coscienza dei problemi legati all’ambiente, alla gestione del territorio, all’igiene e alla sicurezza sui luoghi di lavoro. 

Il mio percorso di maturazione in quegli anni è segnato da letture e avvenimenti. Ne elenco alcuni, andando a memoria, magari con qualche errore cronologico: il rapporto del Club di Roma sui Limiti dello Sviluppo, letto quando ancora ero al Liceo, la crisi energetica del 1973 e l’inverno delle domeniche a piedi, la scelta di iscrivermi a Scienze Geologiche nell’illusione che a breve ci sarebbe stato un interesse pubblico per la difesa del territorio e la prevenzione delle catastrofi naturali (e infatti ho finito per fare l’insegnante), il terremoto del Friuli nel maggio 1976, il disastro dell’ICMESA a Seveso nel luglio successivo, la lettura de L’imbroglio ecologico di Dario Paccino (uscito nel 1971, ma conobbi il libro solo qualche anno più tardi), che metteva in guardia in chiave marxista dagli eccessi e le ingenuità di un certo ambientalismo che si sarebbero puntualmente verificati in seguito, l’incidente alla centrale americana di Three Miles Island (1979) e la nascita del movimento contro il nucleare civile. Insomma, scienza e ambiente, ma anche voglia di partecipare attivamente alla società, pensando globalmente e agendo localmente prima che queste parole diventassero un famoso slogan. 


Comprare il Dizionario dell’ambiente (Editori Riuniti), curato da Roberto Boltri e Antonio Levy, e spendere le diecimila lire che costava nei primi mesi dell’81 fu una scelta direi quasi inevitabile e ampiamente vantaggiosa. Il testo era concepito come un manuale di divulgazione e di intervento, con 135 voci riguardanti l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, i luoghi di lavoro, l’assetto idrogeologico e la gestione del territorio, l’alimentazione, i problemi demografici, l’energia. Per la sua natura interdisciplinare, il Dizionario fu compilato da una ventina di specialisti provenienti dal mondo dell’università e della ricerca pubblica e privata. Lo scopo degli autori era quello di fornire strumenti di conoscenza scientifici e normativi affinché il lettore potesse intervenire con una certa competenza all’interno del proprio territorio, dei luoghi di lavoro, nelle associazioni, nel sindacato, nelle amministrazioni pubbliche, ovunque se ne ravvisasse la necessità. Il linguaggio scientificamente rigoroso e tuttavia semplice risultava comprensibile anche a chi non possedeva una grande cultura scientifica; il gioco dei rimandi tipico di un’opera a carattere enciclopedico favoriva gli approfondimenti e anticipava la struttura degli ipertesti. 

Meglio delle mie parole possono valere quelle dell’introduzione firmata dai due curatori, di cui riporto la prima parte: 

Da alcuni anni anche nel nostro paese si stanno sviluppando un interesse ed una partecipazione crescenti attorno ai problemi della tutela ambientale e dell'uso delle risorse; interesse e partecipazione che possono avere motivazioni e finalità diverse: esigenze professionali, necessità di espletare con competenza ruoli amministrativi, desiderio di dare risposte pertinenti a «curiosità» scientifiche, o anche di uniformarsi a mode culturali, nelle quali non di rado rischia di cadere la questione ambientale attraverso i mass-media. Tuttavia, sottesa a ciascuna di tali motivazioni, crediamo prevalga la convinzione che nel rapporto uomo-ambiente si manifestino le tensioni e le contraddizioni di un sistema economico che non ha esitato a stravolgere equilibri ambientali ed a sacrificare i diritti degli uomini in nome delle regole dell'accumulazione e del profitto individuali. 

La crisi energetica ha bruscamente destato la consapevolezza che le fonti tradizionali di energia (principalmente il petrolio) sono esauribili, e che quindi, da una parte, il loro sfruttamento non può essere attuato senza criteri di programmazione e di risparmio, e che, dall'altra, è necessario ed urgente sviluppare tecnologie in grado di utilizzare fonti alternative, che diano garanzie di sicurezza e di durata. Le tensioni internazionali; gli squilibri drammatici – in termini di reddito pro–capite (quando non addirittura della stessa possibilità di sopravvivenza) – tra paesi ad alto sviluppo industriale e paesi del cosiddetto Terzo mondo, produttori di ricchezze immense delle quali non godono il frutto; i ricorrenti eventi bellici nello scenario mediorientale, rivelano il nesso che intercorre tra sviluppo economico e industriale, disponibilità e utilizzazione di tecnologie e di risorse, e cooperazione tra i popoli. I legami tra processi demografici e programmazione urbanistica e territoriale; tra questi e l'uso produttivo del suolo in agricoltura ed il dissesto idrogeologico; tra l'impiego dei fertilizzanti e dei biocidi per le esigenze alimentari ed i fenomeni di inquinamento del suolo e delle acque, dovuti all'impiego di tali prodotti, sono ulteriori esempi delle strette relazioni esistenti tra attività umane, assetto ambientale, salute ed uso delle risorse. Alle tematiche dell'ambiente da molte parti si guarda con ottica del tutto differente. Ci riferiamo ad alcune proposte culturali, alle attese millenaristiche, ad un irrazionalismo emergente, tesi a leggere i fenomeni del degrado ambientale in chiave catastrofica, per cui irreale e velleitario risulterebbe ogni tentativo di intervento, e non resterebbe che l'attesa passiva del precipitare degli eventi, insistendo nell'attuale sfruttamento delle risorse e consentendo il permanere di già consolidati rapporti di dominio. Crediamo, viceversa, che oggi sia tempo di battersi contro due opposte tendenze, ambedue mistificanti e conservatrici: quella di una scienza totalizzante, che tutto risolve ed a tutto pone rimedio, in un processo auto-esaltante di interventi tecnologicamente raffinati, che ripropone la cultura dello spreco e della rapina delle risorse; e quella di una «natura» incontaminata, sede del Bene e della Libertà, che l'uomo e la sua scienza avrebbero irrimediabilmente intaccato, sicché l'unica arma in suo possesso — e cioè l'utilizzazione delle facoltà conoscitive — si rivolterebbe oggi contro di lui. (…)

Attraverso le lotte operaie per la tutela della salute negli ambienti di lavoro, per la prevenzione degli infortuni e per la riduzione dei rischi, si sta superando il concetto di monetarizzazione della salute ed è rifiutato il ruolo del lavoratore subalterno alla produzione e al profitto; è cresciuta la consapevolezza che le società umane si possano evolvere senza distruggere gli ambienti naturali e le risorse, non senza profondi mutamenti nei rapporti tra i popoli e l'innalzamento del livello di vita dei paesi emergenti. 


Gli interessi dell'intera collettività, considerati non soltanto nel breve periodo, ma estesi anche alle necessità delle generazioni future, devono essere difesi dalla classe lavoratrice, che più drammaticamente ha pagato e paga i costi collettivi e le conseguenze del degrado ambientale.

La classe lavoratrice dovrà perfezionare un progetto per l'ambiente, che scaturisca da un dibattito democratico, sensibile alle diverse esigenze e proposte ed in grado di superare ostacoli e contraddizioni; dovrà inoltre ampliare la propria cultura in materia ambientale, così da individuare i necessari livelli di gradualità, mediante i quali governare la trasformazione, e intrattenere con la scienza e la tecnologia un rapporto né subalterno né caratterizzato da una adesione acritica a miti neopositivistici. 

Scienza e tecnologia pongono già a disposizione strumenti e metodologie validi; hanno indicato ed indicano errori ancora reversibili; utilizzano indagini previsionali attendibili, ma le generazioni presenti devono essere garanti della scelta di indirizzi positivi. Tali considerazioni hanno condotto alla realizzazione di questo dizionario, assieme alla convinzione della necessità di tentare una sintesi delle problematiche diverse e delle discipline eterogenee, ed alla constatazione che un crescente numero di giovani, di lavoratori e strati sempre più ampi di popolazione, manifestano l'esigenza di appropriarsi degli strumenti conoscitivi riguardanti le tematiche ambientali. Il dizionario è quindi rivolto principalmente ai giovani, agli operatori delle strutture dell'igiene e della sanità pubblica ed agli amministratori degli enti locali, chiamati ad affrontare e risolvere i problemi ambientali. Certamente esso non costituisce un binario per specifiche scelte politiche; ci auguriamo tuttavia che rappresenti una guida ed uno strumento di consultazione — anche se in alcuni casi di carattere generale — per coloro che non possiedono una preparazione tecnica specialistica. 


Come si può leggere, molte idee degli autori sono state smentite dalla storia di questi trent’anni, anche perché molte cose non potevano essere previste. Ci sono state alcune grandi conquiste, come i due referendum sul nucleare e quello sull’acqua pubblica, il progredire di una legislazione e di una mentalità che hanno portato a sentenze esemplari come quella recentissima sulla Eternit di Casale Monferrato, ma accanto ad esse, il numero degli incidenti sul lavoro ha continuato a essere insostenibile e quotidianamente aggiornato, le condizioni di lavoro, dove il lavoro ancora c’è, sono in molti casi peggiorate (penso alla FIAT come caso esemplare), i casi di inquinamento sono ancora troppi (Taranto, Priolo, ecc.), lo scempio del territorio è continuato, con frane e alluvioni che continuano a far danni come un tempo, e strutture come la Protezione Civile, nate per aumentare la rapidità e l’efficacia degli interventi, si sono rivelate squallidi strumenti di malaffare, o, peggio, per aggirare il controllo democratico sulle decisioni e sulle spese, come è avvenuto per il G8 a La Maddalena o dopo il terremoto de L’Aquila. Molto ancora c’è da fare. 

Una delle mie principali preoccupazioni è che libri come il Dizionario dell’ambiente non se ne fanno più.

sabato 19 maggio 2012

Integrali doppi e volume dei solidi di rotazione



ResearchBlogging.orgIntegrali multipli − Un integrale multiplo è un tipo di integrale definito esteso a una funzione di due o più variabili reali, ad esempio ƒ(x, y) o ƒ(x, y, z). Gli integrali di una funzione di due variabili su una regione si chiamano integrali doppi.

Proprio come l’integrale definito di una funzione di una variabile rappresenta l’area della regione tra il suo grafico e l’asse x, l’integrale doppio di una funzione di due variabili rappresenta il volume della regione tra la superficie definita dalla funzione (sul piano cartesiano tridimensionale in cui z = ƒ(x, y)) e il piano che contiene il suo dominio. Lo stesso volume si può ottenere con un integrale triplo (l’integrale di una funzione di tre variabili) della funzione costante ƒ(x, y, z) = 1 sulla stessa regione tra la superficie e il piano. Se esistono più variabili, l’integrale multiplo fornirà ipervolumi di funzioni multidimensionali.

L’integrazione multipla di una funzione di n variabili f (x1, x2, ..., xn) su un dominio D si rappresenta frequentemente con i simboli di integrale uno dietro l’altro in ordine inverso di esecuzione (l’integrale più a sinistra è quello calcolato per ultimo), seguiti dalla funzione e dagli argomenti integrandi nel giusto ordine (l’integrale rispetto all’argomento più a destra è calcolato per ultimo). Il dominio di integrazione o si rappresenta simbolicamente per ogni argomento su ciascun simbolo di integrale, oppure si abbrevia con una variabile sul simbolo di integrale più a destra.

 
Nel caso di T⊆ sia un sottoinsieme del piano , l’integrale

   
 è l’integrale doppio di f su T. 

Gli integrali multipli si risolvono, se esistono le condizioni, grazie alla possibilità di "spezzare" l'integrale in più dimensioni in diversi integrali su , dove può essere applicato, ad esempio, il teorema fondamentale del calcolo integrale (integrazione per parti, teorema di Fubini). 

Calcolo del volume dei solidi di rotazione con gli integrali − Gli integrali doppi hanno ispirato ai matematici spagnoli Jorge Martìn-Morales e Antonio M. Oller-Marcén un metodo per il calcolo dei solidi di rotazione alternativo a quelli comunemente presentati nei libri di testo, cioè il metodo del disco, che consiste a grandi linee nel dividere il solido in dischi perpendicolari all’asse di rotazione, e il metodo del guscio, che considera il solido come una serie di gusci cilindrici concentrici che avvolgono l’asse.

Per applicare questi metodi, il metodo più semplice consiste nel disegnare il grafico in questione, identificare l’area che deve essere ruotata intorno all'asse, determinare il volume o di una fetta a forma di disco (di spessore δx), oppure di un guscio cilindrico di larghezza δx del solido, infine trovare la somma limite di questi volumi per δx che tende a 0, un valore che può essere trovato con un opportuno integrale.


Il metodo del disco si usa quando la fetta che viene disegnata è perpendicolare all'asse di rotazione, cioè quando si integra parallelamente all'asse stesso. Con il metodo del disco, il volume del solido formato ruotando la superficie compresa tra le curve di f(x) e g(x) e le rette a e = b intorno all'asse x è dato da:

Se g(x) = 0 (cioè se si ruota una superficie tra la curva e l’asse x), il calcolo si riduce a:

     


Il metodo dei gusci cilindrici si usa quando la fetta che viene disegnata è parallela all'asse di rotazione, cioè quando si integra perpendicolarmente all’asse stesso. Il volume del solido formato ruotando la superficie compresa tra le curve di f(x) e g(x) e le rette x = a e x = b intorno all'asse y è dato da:

 
Se g(x) = 0 (cioè se si ruota una superficie tra la curva e l’asse y), il calcolo si riduce a:


Quando una curva è definite dalla sua formula parametrica (x(t), y(t)) in un intervallo [a, b], i volumi dei solidi generati ruotando la curva rispettivamente intorno all'asse x e all’asse y sono dati da:

 
I due metodi sono geometricamente molto differenti e l’uso di uno o dell’altro dipende dalla forma del solido. Tuttavia essi sono equivalenti dal punto di vista analitico e possono essere messi in relazione in diverse maniere, con l’integrazione per parti, le funzioni inverse o il teorema di Rolle.

I due matematici spagnoli sostengono che esiste una relazione ancor più generale tra i metodi sopra citati, e illustrano un metodo per calcolare il volume di un solido di rotazione con un integrale doppio in maniera semplice. Questo metodo, a loro dire finora assente in letteratura, evita considerazioni sulla forma del solido, fornisce un modo agevole di descrivere il volume del solido anche quando l’asse è inclinato rispetto all'orizzontale e alla verticale, introduce tecniche di doppia integrazione che possono in certe circostanze abbreviare i calcoli.



Il metodo dell’integrale doppio - Sia S una regione chiusa del piano OXY e sia e una qualsiasi retta sullo stesso piano tale che e sia esterna a S. Per ciascun punto che appartiene a S, si ponga de(x, y) = d (P; e) la distanza tra P ed e. Si indichi con V (S, e) il volume del solido ottenuto ruotando la regione S intorno alla retta e, come indicato dalla figura. Martìn-Morales e Oller-Marcén sostengono che:

 
Infatti, per ogni punto P (x; y) di S, si consideri un piccolo cerchio con centro in P e con area dA. Quando questo cerchio ruota attorno all'asse e, esso genera un toro di volume 2πde(x; y) dA, pertanto è sufficiente sommare tutti questi volumi , cioè integrare per S. Si osservi che de(x, y) è sempre un polinomio di grado 1 in x e y, cioè, se l’asse e ha equazione ax + by + c = 0, allora de(x, y) = |ax+by+c| / √ a2+b2 .

Generalizzazione dei due metodi standard - I due metodi standard del disco e del guscio possono essere ottenuti dalla formula con il doppio integrale proposta. Si assuma, senza perdita di generalità, che l’asse di rotazione sia OY. Si consideri S un dominio normale rispetto all'asse x, il che significa che la regione S è delimitata da funzioni continue y = f1(x) e y = f2(x) tra x = a e x = b, come nella figura di sinistra (sotto). Il teorema di Fubini afferma che l’integrale doppio


può essere calcolato per mezzo di integrali semplici come:

 
che è esattamente la nota formula che si ottiene con il metodo dei gusci cilindrici.


Si assuma ora che l’asse di rotazione sia OY. Si consideri S un dominio normale rispetto all'asse y. In questo caso la regione S è delimitata da funzioni continue y = g1(x) e y = g2(x) tra y = c e y = d, come nella figura di destra (sopra). Ancora con il teorema di Fubini, il doppio integrale I si può risolvere come:

 
che è la formula corrispondente al metodo del disco.

Ciò dimostra che, sebbene entrambi i metodi sembrino molto diversi dal punto di vista geometrico, essi sono sostanzialmente lo stesso, come si può vedere con un semplice ragionamento. Utilizzando la formula:

 
si sommano i volumi dei tori ottenuti ruotando un cerchio con centro (x, y) e area dA intorno all’asse y. Per sommare tutti questi volumi si può procedere in due modi diversi:

1. se si fissa y = y0 e si considera la somma dei volumi dei tori corrispondenti ai punti (x; y0) si ottiene un disco orizzontale. Allora è sufficiente sommare il volume di questi dischi, che è il metodo del disco
2. se si fissa x = x0 e si considera la somma dei volumi dei tori corrispondenti ai punti (x0, y) si ottiene un guscio cilindrico verticale. Allora è sufficiente sommare il volume di questi gusci, che è il metodo del guscio.

Pertanto i due metodi classici si ricavano con il metodo proposto semplicemente scegliendo opportunamente i tori i cui volumi sono da sommare.

Jorge Martín-Morales, & Antonio M. Oller-Marcén (2012). Volumes of Solids of Revolution. A Unified Approach Submitted to Mathematical Intelligence arXiv: 1205.2204v1

martedì 15 maggio 2012

Di giraffe e pinnipedi


La giraffa lamarckiana 

Fino all’Ottocento nella savana 
viveva la giraffa lamarckiana: 
ciò che acquisiva nell’esistenza 
lo tramandava alla discendenza.

Lungo i millenni aveva sviluppato
un collo minuto e smisurato
con cui brucava sul Ruwenzori 
tremila metri sopra i predatori. 

Si estinse per questo piano piano,
non avendo parato il deretano: 
caso, necessità (e selezione laicista)
sostennero la giraffa darwinista. 



La foca L’otaria 

La foca 
che gioca 
con la palla 
sul naso, 
che caso, 
non falla. 
La lancia, 
l’arresta 
di pancia, 
poi, lesta, 
di testa. 
Che festa, 
che mosse, 
se fosse 
la foca 
che gioca, 
ma ha l’aria 
di un’otaria.

lunedì 14 maggio 2012

Carnevale della Matematica n. 49


Oggi è il giorno del Carnevale della Matematica n. 49, ospitato da .mau., l'ideatore della serie italiana di questa manifestazione, che ha preceduto tutte quelle dedicate ad altre discipline scientifiche. Inutile dire che si tratta di una bella edizione, condotta con brio e dai contributi sempre interessanti. Forse l'ho già detto, ma penso proprio che il Carnevale italiano sia tra i più belli al mondo.

domenica 13 maggio 2012

Il criceto


Criceto nella granaglia: 
si rallegra, canaglia! 
Se ne infischia, 
non osa, poi rischia, 
morde una lenticchia, 
rallenta, rosicchia, 
si ferma, tossicchia, 
cincischia, nicchia, 
riprende, la picchia, 
la schiva, la schiaccia; 
piaccia o non piaccia, 
ci pigia la faccia, 
ci finge una caccia, 
l’addenta, la trita, 
la inghiotte tutta, 
si stiracchia, rutta, 
sputacchia, 
s’inginocchia 
per fare la cacca. 

Poi s’accoppia, 
mette su famiglia, 
genera, figlia, 
(suocera, nuora), 
si riposa, lavora, 
gioisce, s’abbacchia, 
patisce, ridacchia, 
subisce, s’incacchia, 
t’ignora, t’adocchia, 
è sveglio, sonnecchia, 
si gratta un’orecchia, 
succhia, si macchia, 
invecchia, vivacchia, 
s’ammala, sudacchia, 
s’aggrava, schiatta, 
si raccatta, si getta via. 

 È degno di poesia? 
Sia come sia, 
la sua storia è la mia.

(il mio capolavoro, lo ripropongo da solo)

mercoledì 9 maggio 2012

Di lettere di rifiuto, chiodi misteriosi e altre facezie

David Brewster
Il matematico e filosofo inglese Charles Babbage, uno dei padri del calcolo automatico, ricevette da Sir David Brewster (1781-1868), direttore dell’Edinburgh Journal of Science, la seguente lettera di rifiuto, forse la migliore mai scritta, da prendere come modello: 

«It is no inconsiderable degree of reluctance [with] that I decline the offer of any Paper from you. I think, however, you will upon reconsideration of the subject be of the opinion that I have no other alternative. The subjects you propose for a series of Mathematical and Metaphysical Essays are so profound, that there is perhaps not a single subscriber to our Journal who could follow them». 

«Non è trascurabile il grado di riluttanza con il quale rifiuto l’offerta di qualsiasi articolo da parte vostra. Ritengo, tuttavia, che dopo un riesame dell’argomento sarete dell’opinione che non ho un’altra alternativa. Gli argomenti che proponete per una serie di Saggi Matematici e Metafisici sono così profondi, che non esiste forse un solo abbonato del nostro giornale che possa capirli». 

La lettera fu scritta nel breve periodo di vita del periodico scozzese fondato e diretto da Brewster, tra il 1824 e il 1832. I due si conoscevano, e contribuirono con John Herschel a fondare la British Association for the Advancement of Science, che tenne la sua prima riunione a York nel 1831. Forse il tono della lettera si può spiegare con un certo grado di confidenza. 

C’è anche da riferire un curioso episodio che riguarda Brewster. Egli, fisico, matematico, astronomo e rettore universitario, ricordato anche per l’invenzione del caleidoscopio e dello stereoscopio, inviò nel 1845 alla quattordicesima riunione della British Association una nota in cui riferiva della scoperta di un chiodo di ferro corroso all’interno di un blocco di arenaria del Devoniano nella cava scozzese di Kingoodie. Il blocco di roccia, spesso 9 pollici, era completamente attraversato dal chiodo: a nine inch nail.

 

martedì 8 maggio 2012

Minimal Math

Open Cube


Opera minimalista
oppure concettuale:
Sol LeWitt è l’artista,
dall’indole seriale.

Nel cubo l’assenza
e lo studio spaziale
danno l’esperienza
di stupore sensoriale.

C’è un quiz di parte
che è di prammatica
se si vuol far dell’arte
l’esegesi matematica:

Lungo 105 è il lato,
ce lo dice l’autore:
che volume è restato
se è 9 lo spessore?

Sol Lewitt, Open Cube (1968). Alluminio laccato, 105 × 105 × 105 cm.


Three squares within a Triangle


Robert Mangold ha fatto
questo quadro triangolare,
che sembra proprio adatto
per farci un po’ pensare.

Che cosa vedi osservatore?
noti per prima la forma
o ti attrae il suo colore,
come pensi sia di norma?

E hai notato i 3 quadrati?
Guarda, vedi se t’accosti,
che son incisi, non tracciati
e che sono sovrapposti?

Non lo dare per scontato
(come critico io blatero):
ma il triangolo disegnato
è isoscele o equilatero?

Robert Mangold, Three squares within a Triangle (1976). Acrilico e matita su tela, 145 × 183 cm. Immagine tratta da: Daniel Marzona, Minimal Art, Taschen, 2006


domenica 6 maggio 2012

L’universo secondo Stalin


ResearchBlogging.orgLa Guerra Fredda non fu solo un confronto tra sistemi politici antagonisti, ma anche una lotta tra due visioni del mondo, nelle quali la scienza e la filosofia furono, più o meno direttamente, condizionate dall’agenda politica. Ciò avveniva da entrambe le parti e, se a Ovest l’accusa di comunismo poteva segnare la fine di una carriera scientifica, fu soprattutto nel sistema autoritario dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti che le scienze ideologicamente sensibili furono asservite al controllo politico, particolarmente nel periodo tra il 1946 e la morte di Stalin, avvenuta nel 1953.

Secondo il Comitato Centrale del Partito Comunista del 1950 era un dovere di ogni cittadino sovietico “difendere la purezza delle dottrine marxiste-leniniste in tutti i campi della cultura e della scienza”. Ora, frasi come “purezza delle dottrine” manifestano più un atteggiamento fideistico che un recepimento reale del materialismo dialettico e della filosofia di Marx ed Engels. In effetti lo scontro ideologico che coinvolse discipline di frontiera come la cosmologia ebbe i caratteri di una guerra di religione: non a caso il maggior avversario della “scienza sovietica” non fu il Pentagono o la Casa Bianca, ma il Vaticano.

Se si esclude lo sciagurato caso Lysenko, con la crociata contro la genetica occidentale (“scienza fascista” e “puttana del capitalismo”), che ebbe conseguenze disastrose per la biologia e le scienze agrarie sovietiche (e che portò nei campi di lavoro o di fronte al plotone d’esecuzione genetisti di vaglia), gran parte della scienza nell’URSS anche negli anni ’50 fece grandi progressi, culminati con i successi dello Sputnik e di Gagarin, importanti anche dal punto di vista propagandistico. Quando però la “purezza della dottrina” era minacciata, allora la politica interveniva a correggere, purgare, mettere sotto silenzio certe teorie. E’ il caso ad esempio della chimica organica, dove la teoria della risonanza dei composti aromatici fu avversata e definita “idealistica” in quanto non descrive le molecole come strutture reali in conformità con l’interpretazione che si dava della dottrina materialista. Nel 1951 la teoria fu dichiarata “pseudoscienza borghese” e al dipartimento di chimica dell’Università di Mosca si proibì il proseguimento di ogni ricerca in materia. Anche la fisica quantistica, con il suo mondo di particelle evanescenti, andò incontro all’accusa di idealismo. I fisici sovietici Nikolskij e Blokhintzev, fedeli alla linea, tentarono di sviluppare una versione dell’interpretazione statistica della meccanica quantistica, che era considerata più conforme ai principi del materialismo dialettico. Tuttavia le necessità pratiche dello sviluppo del programma nucleare sovietico fecero in modo che l’occhio dei censori fosse meno attento a correggere le manchevolezze ideologiche in questo campo. Più esposta alle attenzioni dei custodi dell’ortodossia fu invece la cosmologia, scienza inevitabilmente destinata a toccare le questioni fondamentali dell’origine e della fine dell’universo, e quindi ideologicamente sensibile.

Andrei Zdanov, il principale ideologo di Stalin, era il custode dell’allineamento politico della cultura e della scienza, con il potere di purgare la scienza sovietica dalle idee pericolose. Il 24 giugno 1947 tenne un discorso di condanna delle tendenze filosofiche e scientifiche che egli riteneva contrarie ai valori del marxismo-leninismo. Tra le scienze che richiedevano di essere ripulite dalle eresie borghesi c’erano l’astronomia e la cosmologia. Riferendosi agli “scienziati reazionari Lemaître, Milne e altri”, egli accusò la cosmologia occidentale di essere segretamente religiosa. Essa utilizzava il redshift delle nebulose, disse, “per rafforzare le concezioni religiose sulla struttura dell’universo”. Inoltre “I falsificatori della scienza vogliono far rivivere la favoletta dell’origine del mondo dal nulla (…) Un altro fallimento della teoria in questione consiste nel fatto che ci porta all’atteggiamento idealistico di considerare finito il mondo”. Il discorso di Zdanov segnò l’inizio di un decennio nel quale la cosmologia, nel senso in cui essa era praticata dai fisici e dagli astronomi occidentali, quasi scomparve dalla scienza sovietica perché considerata pericolosa per l’ortodossia.

A seguito delle critiche di Zdanov e di altri alti papaveri del Partito, si tenne nel dicembre del 1948 a Leningrado un convegno di astronomi e fisici per discutere le questioni ideologiche legate alle scienze astronomiche. L’universo omogeneo e in espansione fu fortemente criticato come un’estrapolazione errata delle osservazioni, e ai cosmologi si ordinò di trovare un’interpretazione materialistica del redshift, da contrapporre alle spiegazioni che si davano in occidente, accusate di fornire un’interpretazione idealistica. Nel documento finale del convegno si dichiarava che “La “teoria” reazionaria e idealistica dell’espansione dell’universo domina la cosmologia straniera contemporanea. Sfortunatamente, questa teoria anti-scientifica è penetrate nelle pagine delle nostre pubblicazioni specializzate (…) È indispensabile denunciare instancabilmente questo idealismo astronomico, che favorisce il clericalismo”.

Per quanto ideologicamente sensibile, la cosmologia in Unione Sovietica non ebbe il feroce trattamento riservato alla genetica. Non ci furono purghe e nessun Lysenko nell’astronomia e nella cosmologia sovietiche. Tuttavia la pressione politica e l’autocensura fecero in modo che le ricerche in questo campo furono praticamente inesistenti. Tra il 1934 e il 1958 nessun modello cosmologico fu oggetto di pubblicazioni di scienziati sovietici, anche se il dibattito scientifico sulla materia che avveniva in Occidente era conosciuto.

Ma in che cosa consisteva l’ortodossia della cosmologia nell’Unione Sovietica nel primo decennio della Guerra Fredda? Sostanzialmente essa può essere sintetizzata in cinque punti:
a) L’universo è infinito, sia nello spazio sia nel suo contenuto di materia;
b) L’universo è eterno: non ci fu mai un inizio e non ci sarà mai una fine;
c) Nell’universo solo la materia e le sue manifestazioni sotto forma di moto ed energia possiedono una reale esistenza;
d) La verità delle teorie cosmologiche dovrebbe essere giudicata sulle basi della loro corrispondenza con le leggi della filosofia dialettico-materialista;
e) I redshift delle galassie non indicano affatto che lo spazio cosmica sia in espansione, ma possono essere spiegati in modo diverso.
I primi quattro punti affondano le loro radici nel XIX secolo, e sono sostanzialmente delle ripetizioni di ciò che affermò Friedrich Engels nelle sue opere sulla dialettica della natura (ovviamente egli non poteva conoscere l’espansione dell’universo, di cui si cominciò a parlare solo negli anni ’20). Gli ideologi stalinisti consideravano gli scritti di Marx e Engels alla stregua di testi sacri, incorruttibili nella loro verità e indipendenti dal tempo e dai progressi della conoscenza umana. Per comprendere la posizione degli ideologi del PCUS riguardo alla scienza bisogna perciò richiamare brevemente il dibattito sulla termodinamica e la cosmologia alla fine dell’800.

L’idea di “morte termica dell’universo” causata dalla continua crescita dell’entropia, che è un corollario della seconda legge della termodinamica, fu intensamente dibattuta nella seconda metà del XIX secolo da scienziati e filosofi. Gran parte dei pensatori socialisti trovava insostenibile l’idea che la vita e l’attività dell’universo debbano un giorno finire. Essi consideravano ugualmente inaccettabile che dalla termodinamica si potesse giungere a considerare un universo di età finita: se esso è infinitamente vecchio, pensavano, l’entropia avrebbe dovuto essere infinitamente elevata, in contrasto con l’osservazione. Inoltre, da un universo di età finita a un universo che ha avuto un inizio li passo è breve, e inizio dell’universo voleva dire creazione soprannaturale. Il pensiero ateo e materialista rifiutava sia la morte termica sia l’idea di un inizio con entropia nulla, per le loro implicazioni religiose. Un modo per sfuggire alle leggi della termodinamica fu quello di postulare un universo infinitamente esteso. Engels, nell’Anti-Duhring (1878) e in Dialettica della natura (1883), non amava pensare a un universo destinato a finire: per il filosofo tedesco l’irreversibilità cosmica (la “freccia del tempo”) era incompatibile con il materialismo, in quanto legittimava l’idea di creazione. L’universo deve essere necessariamente un perpetuum mobile, e per questo motivo infinito nello spazio e nel tempo. Questa concezione fu adottata da Lenin e dibattuta nel saggio Materialismo e empiriocriticismo del 1908. Per Lenin, la filosofia del marxismo è il materialismo dialettico, l'unica forma conseguente di materialismo, coerente con le scoperte scientifiche moderne. Materia senza movimento o movimento senza materia sono concetti assurdi. Il movimento e la materia sono un'unità indissolubile, di cui spazio e tempo sono il modo di esistenza. L'Universo è la materia, cioè il movimento, e nella sua materialità trova la sua unitarietà.

Queste idee divennero dogma e furono incorporate nel pensiero ufficiale dell’Unione Sovietica. Così, un pensiero che al principio accolse con entusiasmo le conquiste della scienza, in particolare l’evoluzionismo, e faceva dell’esperienza uno dei suoi metodi di indagine della realtà, fu mummificato dal potere sovietico, come la salma del suo fondatore. In una pubblicazione del 1938, destinata all’indottrinamento ideologico, Stalin scriveva che “Il materialismo filosofico marxista parte dal principio che il mondo e le sue leggi sono perfettamente conoscibili, che la nostra conoscenza delle leggi della natura, verificata dall'esperienza, dalla pratica, è una conoscenza valida, che ha il valore di una verità oggettiva”. Quanto distante è questa sicumera dai dubbi di Engels sulle verità eterne: “Se mai l'umanità arrivasse al punto di non operare che su verità eterne, su risultati del pensiero che posseggano il valore sovrano e l'incondizionata pretesa di verità, essa sarebbe pervenuta a quel punto in cui l'infinità del mondo intellettivo sarebbe esaurita tanto in atto che in potenza, e sarebbe compiuto il celeberrimo miracolo dell'innumere numerato” (Anti-Duhring).

Il pensiero di Engels sull’universo, diventato dogma, fu adottato come teoria cosmologica ufficiale dello stalinismo. Nei primi anni ’50 si potevano leggere definizioni come questa:

“La Cosmologia è lo studio di un universo infinito come un coerente, unico tutto, e dell’intera regione raggiungibile dall’osservazione come parte dell’universo. Questo studio ha (…) il rango di una branca indipendente dell’astronomia, associata strettamente con la fisica. Nella sua generalizzazione, la cosmologia è essenzialmente governata dalla filosofia e non può essere scientifica senza una base filosofica contenente una corretta teoria della conoscenza e che riveli le leggi generali della materia e del suo movimento”.

La scienza ancella della filosofia (materialista dialettica), come nel Medioevo la filosofia lo era della teologia. Ateismo e materialismo erano diventati una religione.

Proprio la religione fu l’elemento più importante della guerra ideologica associata alla Guerra Fredda. La versione ufficiale sovietica del materialismo dialettico era radicalmente antireligiosa e impegnata a combattere la religione in tutte le sue manifestazioni, comprese le sue associazioni con la scienza. L’astronomia e la cosmologia furono fatalmente coinvolte dalla propaganda per l’ateismo. Gli ideologi del PCUS consideravano pericolose le teorie cosmologiche che spiegavano l’allontanamento reciproco delle galassie come derivanti da un inizio nel tempo. Il big-bang era troppo strettamente associato all’idea di creazione per essere accettato. Il fatto poi che uno dei primi assertori dell’universo in espansione fosse il sacerdote cattolico Lemaître non faceva che accrescere i sospetti e le armi di propaganda di Mosca. Il prete-scienziato belga fu ben attento a distinguere tra “inizio” e “creazione” del mondo: in un testo del 1958 scriveva infatti che la sua versione del modello di big-bang “si situa interamente al di fuori di qualsiasi domanda metafisica o religiosa [e] consente al materialista la libertà di negare ogni Essere trascendente”. Il mondo scientifico occidentale era poco interessato alla questione, e in quegli anni il big-bang era ancora un’ipotesi tra tante, compresa quella dell’universo stazionario, tutte compatibili con le equazioni di campo della relatività generale. Ma, se Lemaître fu ben attento a non mischiare scienza e religione, i sospetti dei sovietici furono confermati direttamente dalla Santa Sede.

Nel discorso Le prove dell’esistenza di Dio alla luce della scienza naturale moderna, tenuto alla Pontificia Accademia delle Scienze il 22 novembre 1951, Pio XII fece un uso apologetico della teoria del big-bang. In questo famoso discorso ufficiale, il papa sostenne che la nuova teoria era una legittimazione scientifica di ciò che il credente aveva sempre saputo, cioè che l’universo fu creato da Dio. Secondo Pio XII: “È innegabile che una mente illuminata ed arricchita dalle moderne conoscenze scientifiche, la quale valuti serenamente questo problema, è portata a rompere il cerchio di una materia del tutto indipendente e autoctona, o perché increata, o perché creatasi da sé, e a risalire ad uno Spirito creatore. (…) Pare davvero che la scienza odierna, risalendo d’un tratto milioni di secoli, sia riuscita a farsi testimone di quel primordiale “Fiat lux”, allorché dal nulla proruppe con la materia un mare di luce e di radiazioni, mentre le particelle degli elementi chimici si scissero e si riunirono in milioni di galassie”. La moderna teoria fisica dell’universo, concludeva, “ha allargato e approfondito considerevolmente il fondamento empirico su cui quell’argomento si basa, e dal quale si conclude alla esistenza di un Ens a se, per sua natura immutabile. Inoltre essa ha (…) additato il loro inizio in un tempo di circa 5 miliardi di anni fa, confermando con la concretezza propria delle prove fisiche la contingenza dell’universo e la fondata deduzione che verso quell’epoca il cosmo sia uscito dalla mano del Creatore".

L’anno successivo, nel 1952, si tenne a Roma l’Assemblea Generale dell’Unione Astronomica Internazionale (IAU), con 429 delegati di 35 paesi. L’evento era stato inizialmente programmato a Leningrado, ma era stato spostato per ragioni politiche, soprattutto a causa della guerra in Corea che aveva aumentato le tensioni tra i due blocchi. I delegati sovietici criticarono aspramente il cambiamento di sede e il fatto che il programma prevedeva un indirizzo di saluto del papa. Ricordando il discorso papale dell’anno precedente, abbandonarono polemicamente la sala quando Pio XII salì sul palco. Le parole del papa furono meno apertamente apologetiche rispetto al discorso dell’anno precedente, tuttavia il senso era lo stesso: l’astronomia e la cosmologia moderne indicavano l’esistenza di uno spirito superiore e creatore. L’astrofisico sovietico Victor Ambartsumian, che ricopriva anche la carica di vice-presidente dell’IAU, pur non nascondendo la sua irritazione, rispose diplomaticamente che lo studio dei problemi cosmologici avrebbe contribuito all’avvicinamento culturale delle nazioni e alla causa della pace nel mondo. Come la pensasse veramente risulta da un articolo che scrisse in seguito, nel quale affermava l’inconciliabilità di fede e scienza, la quale “attesta inconfutabilmente la verità e l’utilità del materialismo dialettico” e “dimostra la completa fallacia dell’idealismo e dell’agnosticismo, e la reazionarietà della visione religiosa del mondo”.


I cosmologi sovietici dovevano spiegare il redshift delle galassie in un modo che non desse adito a speculazioni metafisiche. L’espansione dell’universo fu così affrontata in diversi modi. Vi fu chi sosteneva che il fenomeno poteva essere spiegato sulla base di un universo statico, ma infinito. Molti invece argomentarono che l’espansione poteva essere un fenomeno locale, che interessava solo la parte di universo accessibile alle nostre osservazioni, affermando che estrapolare all’intero universo i dati osservazionali era un’operazione scorretta, che tradiva l’atteggiamento idealistico della scienza occidentale. Si restrinse così il campo d’indagine della cosmologia, introducendo il concetto di “metagalassia”, ovvero la regione che comprende le galassie o gli ammassi di galassie direttamente osservabili. Si poté dunque accettare l’espansione, ma non di tutto l’universo, ma solo della metagalassia. Ciò era conforme al materialismo dialettico, ma non alle equazioni della relatività generale, che valgono per l’intero universo.

La teoria dell’universo stazionario, che in quel periodo sembrava poter costituire una valida alternativa a quella dell’universo in espansione, sosteneva che esso è eterno e di dimensioni infinite. In occidente vi fu chi accusò i suoi sostenitori Hoyle, Bondi e Gold di ateismo e ci si aspetterebbe che essa fosse ben accetta in Unione Sovietica. Ma non fu per niente così. Le pubblicazioni scientifiche nell’URSS dei primi anni ’50 sembrano ignorare la teoria, e, quando la menzionano, è per definirla non meno borghese e reazionaria della teoria del big-bang. I motivi di questo rifiuto erano essenzialmente due. Innanzitutto, la teoria dello stato stazionario ipotizzava che l’universo è omogeneo sia nello spazio sia nel tempo (il cosiddetto “principio cosmologico perfetto”), concetto che fu considerato ancor più idealistico del principio cosmologico ordinario, secondo il quale a grande scala l’universo è omogeneo e isotropico. Inoltre, cosa ancor più indigesta per l’ideologia sovietica, il modello dello stato stazionario dipendeva dall’ipotesi di una continua creazione di materia dal nulla. Che avvenga in una volta sola (big-bang), o continuamente (stato stazionario), la creazione non poteva essere digerita da un materialista dialettico.

Esisteva un’ulteriore possibilità di conciliare un universo infinito nel tempo con i redshift predetti dalla cosmologia relativistica: ipotizzare un modello ciclico dell’universo. Questi modelli furono talvolta discussi dai cosmologi in occidente, anche se erano presi in considerazione solo da un’esigua minoranza. D’altra parte, l’idea di un universo ciclico era molto popolare tra i materialisti e i socialisti dell’Ottocento, che si opponevano all’idea di un universo finito nel tempo che essi associavano al teismo. Ad esempio, Engels aveva preso in considerazione un universo eternamente ciclico. Ebbene, nonostante le sue credenziali storico-ideologiche, questo modello non ebbe sostenitori tra gli scienziati sovietici. Anch’esso non era considerato in accordo con i dogmi del materialismo dialettico: se il tempo dell’universo ciclico era infinito, non lo era lo spazio, e ciò contraddiceva la posizione ufficiale del Partito.


La morte di Stalin nel 1953 portò a un cambiamento del clima culturale e nelle relazioni tra scienza e ideologia. L’influenza dei custodi dell’ortodossia del materialismo dialettico diminuì e ciò ebbe conseguenze anche sullo sviluppo nel decennio successivo dell’astronomia, dell’astrofisica e della cosmologia. Da una politica di sostanziali critica e rifiuto di tutte le teorie elaborate in occidente sulla natura dell’universo, con la mancanza di studi e ipotesi alternative, si passò a una lenta apertura verso le idee provenienti dall’altra parte della Cortina di Ferro.

Un convegno della Commissione per la Cosmologia del Consiglio Astronomico dell’URSS nel tardo 1956 dà l’impressione di una debolezza della disciplina, ma anche dell’emergere della consapevolezza che era necessaria una rottura con lo sterile atteggiamento del passato. Secondo il rapporto finale pubblicato l’anno successivo, l’assenza di traduzioni delle monografie e degli articoli scientifici stranieri costituiva un problema, pur senza abbandonare il valore attribuito al materialismo dialettico nell’interpretazione sovietica. Mentre i primi tre volumi della rivista specializzata Astronomicheskii Zhurnal (1957-1959) non contenevano alcun articolo classificabile come cosmologico, negli anni ’60 il numero salì a una media di 7 per volume. Il cambiamento era in corso, non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche da quello qualitativo. In un articolo del 1962 è possibile leggere concetti impensabili qualche anno prima: “In accordo con l’espansione dell’universo osservata, si ritiene probabile che nello stadio primordiale dell’evoluzione dell’universo esisteva una soluzione di Friedmann [delle equazioni della relatività generale] non stazionaria omogenea e isotropica, con la densità della materia in decrescita da un valore infinito all’istante iniziale”. In confronto con l’ostilità tradizionale verso i modelli di un universo finito nel tempo, queste parole di uno scienziato sovietico di spicco, Yakov Zel’dovich, appaiono ancor più degne di nota se si pensa che in occidente il modello del big-bang in quel periodo riceveva ancora poca attenzione.


La cosmologia sviluppata in Unione Sovietica negli anni ‘60 da Zel’dovich e dalla sua scuola si inquadra oramai nella corrente principale della cosmologia occidentale. Nessuna pubblicazione scientifica di quel periodo si avventurava in disquisizioni filosofiche e tutte avevano un carattere puramente tecnico. Nella seconda metà degli anni ’60 i paper dei cosmologi sovietici non si distinguevano più da quelli occidentali se non per la lingua con la quale erano scritti.

Helge Kragh (2012). The Universe, the Cold War, and Dialectical Materialism Manuscript submitted to the journal Centaurus arXiv: 1204.1625v2