lunedì 31 marzo 2014

Crisi d’identità, il mio ebook


Come molti lettori del blog già sapranno, è uscito da qualche giorno il mio e-book Crisi d’identità. Identico e diverso tra matematica, letteratura e gioco. Si tratta, come gli altri titoli della collana Altramatematica del progetto 40k, di un’opera che vuole essere leggera, pop, pur trattando un tema matematico (in questo caso anche filosofico e letterario) normalmente considerato arduo. 

Così recita la quarta di copertina: 
L’identità è un concetto fondamentale per ogni tipo di ragionamento, dalla speculazione filosofica alla dimostrazione matematica. Senza di essa non sarebbe possibile neanche molta letteratura. In queste pagine si raccontano in modo leggero e attento le caratteristiche fondamentali dell’identità, facendo ricorso anche ai molti esempi in cui essa sembra andare in crisi, come l’autoreferenza paradossale, l’autoricorsione, l’ossimoro, l’autodefinizione, aspetti che presentano spesso indubbi risvolti umoristici e giocosi. Per meglio comprendere che cosa sia l’identità bisogna però guardarla dal di fuori, tenendo presente che la sua fotografia sulla carta d’identità risulta sempre un po’ sfocata. 

Il libriccino elettronico può essere acquistato in formato epub per soli 1,99 €, sia presso l’editore Bookrepublic, sia su Amazon (si può fare clic sulle immagini qui sotto).





martedì 25 marzo 2014

Leibniz, il sistema binario e la Cina

L’idea del sistema di numerazione in base 2, o binario, che è alla base dell’elettronica digitale e si giudica pertanto estremamente “moderna”, si mescola con visioni antiche, che ancora pervadevano l’ambiente dotto europeo alla fine del ‘600 nel quale viveva il filosofo e matematico tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz che lo inventò. Mentre costruiva questa nuova aritmetica, Leibniz era impegnato in una gigantesca operazione intellettuale che, tra le altre cose, rivela il permanere di sogni secolari, quale il desiderio di creare una lingua filosofica perfetta, una “caratteristica universale” che, attraverso meccanismi combinatori di idee semplici potesse servire a costruire dimostrazioni (di questo aspetto non mi occuperò qui). Segno dei tempi è anche il tentativo di accostare le nuove scoperte a una sapienza pristina andata perduta, come è il caso dello I-Ching cinese, il Libro dei Mutamenti attribuiti al leggendario imperatore Fuxi, i cui 64 esagrammi, costituiti da linee continue o spezzate (accostabili all’unità e allo zero), affascinarono il filosofo e matematico tedesco e costituirono una tentazione troppo forte perché non ci vedesse un legame profondo. 

Il primo documento scritto da Leibniz riguardante l’aritmetica binaria è il manoscritto di tre pagine De Progressione Dyadica, datato 15 marzo 1679, in cui si trovano lo schema della rappresentazione dei primi cento numeri in base 2, il metodo per passare dal sistema binario a quello decimale e viceversa, e alcuni esempi delle quattro operazioni con i numeri scritti con tale modalità (somma, sottrazione tramite l’addizione del complemento, moltiplicazione, divisione). E’ interessante notare come il sistema in base 2 e le operazioni relative vengano esposti esattamente come si fa oggi a scuola.


La moltiplicazione serve a Leibniz per descrivere l’idea della sua macchina calcolatrice basata sui numeri binari, la prima in grado di effettuare anche questa operazione: 

Nel corso degli anni successivi, Leibniz torna sulla sua idea di un’aritmetica binaria, la sviluppa e la arricchisce in numerose lettere e diversi manoscritti, ma non la porta a termine, sostiene, essendo troppo occupato da altri impegni e riflessioni. Si convince tuttavia sempre di più che il suo sistema possa condurre ad afferrare verità che vanno oltre il mero aspetto numerico. Il 2 gennaio 1697, in occasione degli auguri per il nuovo anno, scrive a Rodolfo Augusto, Duca di Brunswick, dal quale sei anni prima era stato designato a dirigere la Biblioteca Augusta, proponendogli di coniare una medaglia per celebrare la propria scoperta, di cui i due dovevano aver discusso alla corte di Hannover: 

(…) Perché uno dei punti principali della Fede Cristiana, (…) è la creazione di tutte le cose dal nulla attraverso l’onnipotenza di Dio; bisogna dire che non c’è una migliore analogia, o anche una dimostrazione di tale creazione, dell’origine dei numeri come qui è rappresentata, usando solo l’unità e lo zero, o il nulla. E sarebbe difficile trovare una migliore illustrazione di questo segreto nella natura o nella filosofia; perciò ho apposto nel disegno del medaglione [le parole] IMAGO CREATIONIS. 

Non è meno degno di nota che vi compare non solo che Dio creò tutto dal niente, ma anche che il tutto che Egli fece era buono; come possiamo vedere qui, con i nostri occhi, in questa immagine della creazione. Perché invece di non apparire alcun ordine o struttura, come nella comune rappresentazione dei numeri, qui al contrario sono manifesti un ordine e un’armonia meravigliosi, che non possono essere superati. Dato che la regola dell’alternanza fornisce quella della continuazione, così che si può scrivere quanto si vuole senza calcolo o con l’aiuto della memoria, se si alterna all’ultimo posto 0, 1, 0 ,1, 0, 1, ecc., mettendoli uno sotto l’altro; e poi mettendo uno sotto l’altro al secondo posto (da destra) 0, 0, 1, 1, 0 ,0, 1, 1, ecc.; nel terzo 0, 0, 0, 0, 1, 1, 1, 1, 0 ,0, 0, 0, 1, 1, 1, 1, ecc.; nel quarto 0, 0, 0, 0, 0, 0, 0, 0, 1, 1, 1, 1, 1, 1, 1, 1, 0, 0, 0, 0, 0, 0, 0, 0, 1, 1, 1, 1, 1, 1, 1, 1, e così via. Il periodo o ciclo di cambiamento aumenta così per ogni nuovo posto. Questo ordine e bellezza armoniosi si possono vedere nella piccola tabella sul medaglione fino a 16 o 17, poiché per una tabella più grande,. diciamo fino a 32, non c’è spazio. (…) 

Sto corrispondendo con il Gesuita Padre Grimaldi, che si trova attualmente in Cina, ed è anche colà presidente del Tribunale Matematico, che ho conosciuto a Roma, e che mi ha scritto da Goa durante il suo viaggio di ritorno verso la Cina. Siccome mi aveva detto che il monarca di questo potente impero era un amante dell’aritmetica e che ha imparato a far di calcolo nella maniera europea dal Padre Verbiest, il predecessore di Grimaldi, ho giudicato appropriato comunicargli queste rappresentazioni numeriche, nella speranza che questa immagine del segreto della creazione potesse servire a mostrargli ancor di più l’eccellenza della fede cristiana”

Del medaglione, che doveva riportare sul verso il ritratto del duca (già settantenne), non se ne fece nulla. Fortunatamente il disegno ci è giunto in due versioni pubblicate rispettivamente da Johann Wiedeburg a Jena nel 1718 e da Rudolf Nolte a Lipsia nel 1734: la tabella dei numeri binari vi compare sotto una rappresentazione del sole, che la illumina con potenti raggi e dissipa l’oscurità e il caos della parte inferiore. Sopra l’astro, Wiedeburg pone la scritta UNUS EX NIHILO OMNIA, mentre Nolte riporta OMNIBUS EX NIHILO DISCENDIS e SUFFICIT UNUM. La scritta IMAGO CREATIONIS compare a fianco della tabella in Wiedeburg, sotto di essa in Nolte. L’immagine di Wiedeburg porta in fondo la scritta UNUM AUTEM NECESSARIUM sotto una riga costituita da zeri. 



Nonostante l’accenno alla Cina, Leibniz agli inizi del 1697 non mette in relazione il sistema binario con gli esagrammi dell’I-Ching. Egli fa riferimento nella lettera al Duca anche a un avvenimento decisivo a questo proposito, cioè l’incontro, avvenuto a Roma nel 1689, con il padre gesuita Grimaldi, missionario a Pechino. Grazie a questa relazione, il filosofo e matematico tedesco non solo viene a conoscenza di nuove informazioni sulla Cina, ma può entrare in contatto con Bouvet e altri missionari, con i quali intratterrà una fitta corrispondenza. A seguito di questi contatti e di questi scambi epistolari, Leibniz pubblicherà nel 1697 il testo Novissima Sinica Historiam nostri temporis illustrata, ripubblicato due anni dopo, in cui descrive i successi delle missioni cristiane presso l’imperatore, presenta lo I-Ching per primo in Europa e dà conto delle lettere scambiate con Grimaldi. L’opera induce Bouvet a scrivergli una lettera il 16 ottobre 1697, dando inizio a una corrispondenza che durerà fino al 1703.

Le lettere più interessanti per l’identificazione di una certa analogia tra la numerazione binaria di Leibniz e gli esagrammi dell’I-Ching sono quelle scritte dal tedesco il 15 febbraio 1701 e il 3 aprile 1703, e quella di Bouvet del 4 novembre 1701. Nella prima Leibniz mostra e spiega a Bouvet il suo sistema binario. Benché sia a conoscenza del Libro delle Mutazioni e degli esagrammi in esso contenuti, egli non li mette in relazione con la scrittura binaria dei numeri. Come sostiene lo stesso Leibniz successivamente, è Bouvet a notare il legame, e, nella lettera del 4 novembre 1701, a inviargli la riproduzione circolare e quadrata degli esagrammi, che egli considera antichissimi (quattromila anni) e inventati dall’imperatore Fuxi.


Leibniz riceve la lettera solo il primo aprile 1703, s’affretta a rispondere nei due giorni successivi, ma fa anche pervenire all’Abate Jean Bignon, il 7 aprile, una dissertazione intitolata Explication de l’arithmétique binaire, qui se sert des seuls caractères 0 et 1, avec des remarques sur son utilité, et sur qu’elle donne le sens des anciennes figures chinoises de Fohy, destinata ad essere pubblicata sul giornale dell’Accademia delle Scienze di Parigi. In quest’opera, egli fornisce una tabella dei primi 33 numeri binari e una spiegazione delle operazioni fondamentali di calcolo, ma soprattutto, mette in relazione il suo sistema con gli esagrammi cinesi.


Sebbene con questo nuovo sistema, “non c’è più bisogno di imparare nulla a memoria (…), come si vede dagli esempi precedenti (…), Leibniz non raccomanda di sostituire il sistema a base dieci con quello a base due, perché il primo consente una scrittura più abbreviata dei numeri. Il sistema binario rimane tuttavia una base per la scienza, perché consente nuove scoperte, soprattutto nella pratica dei numeri e in geometria. “La prolissità dell’inizio, che fornisce in seguito il mezzo di risparmiare il calcolo, e di arrivare all’infinito secondo un ordine, è infinitamente vantaggiosa”. 

“Ciò che vi è di sorprendente in questo calcolo, è che questa Aritmetica per 0 e 1 si trova a contenere il mistero delle linee d’un antico Re e Filosofo chiamato Fohy, che si crede sia vissuto più di quattromila anni fa, e che i Cinesi considerano come il Fondatore del loro Impero e delle loro scienze. Ci sono diversi figure lineari che gli si attribuiscono. Tutte si trovano in questa aritmetica, ma è sufficiente mostrare qui le Figure degli Otto Cova, come sono chiamati, che sono considerati fondamentali, e di aggiunger loro la spiegazione che è manifesta una volta che si noti in primo luogo che una linea intera significa l’unità o 1, e poi che una linea spezzata – – significa lo zero o 0”

Leibniz accosta gli otto trigrammi fondamentali ai primi otto numeri binari (da 0 a 7), sostituendo la linea spezzata Yin con lo 0 e la linea continua Yang con l’1 e leggendo i trigrammi dal basso verso l’alto. Combinando questi 8 trigrammi, si ottengono i 64 esagrammi che costituiscono il sistema completo dell’I-Ching.


Tuttavia “I Cinesi hanno perduto il significato dei Cova o linee di Fohy, forse da più di un millennio, e hanno scritto dei commentari su di essi, dove hanno cercato non so quali significati reconditi. C’è voluto che la vera spiegazione ora venisse loro dagli Europei”

Leibniz spiega le circostanze con le quali padre Bouvet gli ha suggerito il legame tra il sistema a base 2 e i 64 esagrammi, “decifrando l’enigma di Fohy con l’aiuto di quanto gli avevo comunicato. E poiché queste figure sono probabilmente il più antico monumento della scienza che esista al mondo, questa restituzione del loro significato, dopo un così grande intervallo di tempo, apparirà pertanto più curiosa”

La dissertazione si conclude con l’affermazione che anche nei caratteri della scrittura cinese, che la tradizione dice inventati dallo stesso Foxi, per quanto alterati dal tempo, sia possibile trovare ancora qualcosa di considerevole riguardo ai numeri e alle idee. Anche da essi potrebbe essere ricavato ogni tipo di ragionamento “attraverso qualche maniera di calcolo, che sarebbe uno dei più importanti mezzi di aiutare lo spirito umano”. Come si vede, Leibniz rifugge da ogni considerazione mistico-divinatoria degli esagrammi dell’I-Ching (e degli ideogrammi), ma continua ad essere allettato da un loro possibile impiego filosofico-combinatorio.

domenica 16 marzo 2014

John Wallis, antipatico e geniale


Di carattere scontroso e indisponente, il matematico inglese John Wallis (1616-1703) non perdeva occasione per fare polemica. Famosa fu la sua disputa ventennale a suon di velenosi pamphlet con Thomas Hobbes (l’autore del Leviatano) sulla pretesa di quest’ultimo di aver realizzato la quadratura della circonferenza e sugli attacchi che il filosofo aveva mosso contro la nuova filosofia sperimentale. La contesa, iniziata nel 1655, si interruppe solo con la morte di Hobbes nel 1679. Un’altra controversia lo vide contestare all’ecclesiastico William Holder la priorità dell’invenzione di un metodo per insegnare a parlare ai sordomuti. Non contento, ebbe anche il tempo di manifestare tutto il suo spirito nazionalistico contestando (non del tutto a torto) a Cartesio di aver copiato l’algebra di Thomas Harriot.

Anche in politica, nei tempi tempestosi della rivoluzione di Cromwell e della successiva restaurazione monarchica, molti non apprezzarono affatto il suo saper navigare al servizio prima di uno e poi dell’altro dei contendenti. Non desta pertanto sorpresa che non fosse amato da molti contemporanei, tra i quali il bizzarro biografo John Aubrey, che lo accusò di essere plagiario delle idee di altri, “togliendo loro le piume per adornare il proprio cappello”. Eppure la sua grandezza scientifica è incontestabile, se lo stesso Isaac Newton, che non era prodigo di complimenti per i suoi colleghi, lo considerava tra i più grandi matematici del Seicento. 

Sebbene avesse ricevuto un’educazione umanistica eccellente (tra l’altro aveva imparato il latino, il greco e l’ebraico), Wallis, figlio di un pastore anglicano del Kent, era in gioventù completamente digiuno di matematica, che conobbe quasi casualmente grazie a un libro di aritmetica prestatogli dal fratello maggiore. Come scrisse egli stesso nella sua autobiografia: 

“Proseguii [con la matematica] come un piacevole passatempo nelle ore libere, se mi capitavano tra le mani libri di aritmetica o di altri argomenti matematici, senza che nessuno mi dicesse quali leggere, quali cercare, o con quale metodo procedere. Infatti la matematica non era a quei tempi considerata parte dell’educazione accademica, ma piuttosto un affare di commercianti, mercanti, marinai, falegnami, geometri o gente simile (…)”.

Wallis era destinato alla carriera ecclesiastica, e si diplomò Master of Arts in teologia e morale nel 1640, poco dopo aver ricevuto gli ordini. Per qualche tempo servì qua e là come cappellano privato, finché, nel 1643, la ricca eredità materna gli consentì di affrancarsi dal bisogno di lavorare per mantenersi: diventò un uomo agiato. 


Nel paese, la ribellione del Parlamento contro le pretese assolutistiche di Carlo I era intanto sfociata in guerra aperta, e Wallis prese le parti dei ribelli. Nel 1642, durante una cena, gli furono mostrati alcuni messaggi cifrati delle forze realiste, che egli fu in grado di decifrare in poco tempo. Il suo talento fu presto sfruttato dalla intelligence di Cromwell durante la lunga guerra civile: Wallis ebbe un ruolo importante nella capacità delle forze parlamentari di conoscere in anticipo le manovre degli avversari. La sua opera è stata paragonata a quella del gruppo di Turing a Bletchey Park, che svelò il mistero di Enigma, il sistema di comunicazione in codice dei tedeschi. 

La qualità della crittografia era all’epoca assai eterogenea: si usavano infatti sia banali sistemi basati sulla trasposizioni di lettere (che Wallis riconobbe e interpretò già durante la cena stessa di cui abbiamo parlato), sia algoritmi combinatori di lettere, cifre e altri simboli, sia i più evoluti metodi a chiave variabile. Wallis si rese conto che gli ultimi (“inventati dai francesi”) erano più sicuri, al punto da giudicarli “inattaccabili”, ma probabilmente la sua affermazione serviva a scoraggiare eventuali richieste di rivelare le proprie conoscenze (nel 1697 avrebbe rifiutato la richiesta di Leibniz di insegnare la crittografia agli studenti di Hannover).

Continuava intanto la sua formazione matematica da autodidatta. Nel 1647 si imbatté in una copia della Clavis Mathematicae di William Oughtred, un manuale che sostenne di aver letto in un paio di settimane. La Clavis era la più chiara e completa esposizione disponibile delle conoscenze dell’epoca riguardo alla matematica e all’algebra. Wallis l’apprese così approfonditamente da considerarsi discepolo di Oughtred.

Due anni dopo, il suo lavoro per le forze del Parlamento, oramai vittoriose, fu premiato con l’incarico di professore di geometria a Oxford, fatto straordinario se si considera che egli non aveva mai ricevuto un’educazione matematica formale né aveva mai pubblicato nulla. Fu senza dubbio una nomina “politica”, anche considerando che il suo predecessore era stato allontanato per il solo fatto di essere un realista. Wallis si dimostrò tuttavia degno dell’incarico ottenuto, che mantenne per i successivi quarant’anni in ogni contingenza politica. Non considerandosi “arrivato”, egli studiò tutto ciò che si conosceva in ogni branca della disciplina, e pubblicò negli anni alcune opere importanti sui più disparati argomenti matematici, come si vedrà in seguito. 

Il prestigio acquisito, e la sua presa di posizione contraria all’esecuzione di Carlo I all’inizio del 1649, fecero in modo che Wallis poté mantenere la cattedra anche dopo la Restaurazione della monarchia (1660-61), diventando persino cappellano di Carlo II. Continuò anche a decifrare messaggi criptati, questa volta per conto del re. 

Nel 1655 Wallis pubblicò un trattato sulla definizione analitica delle sezioni coniche, in cui per la prima volta esse venivano riconosciute come curve di secondo grado. In questo Treatise on the Conic Sections, Wallis popolarizzò il simbolo ∞ per indicare una quantità infinita. Così scriveva: 

“Considero che qualsiasi piano (seguendo la Geometria degli indivisibili del Cavalieri) sia costituito da un infinito numero di linee parallele, o, come preferirei, da un infinito numero di parallelogrammi della stessa altezza (sia l’altezza di ciascuno di essi una parte infinitamente piccola, 1/∞, dell’altezza complessiva, e il simbolo ∞ indichi l’infinito), e l’altezza di tutti assieme sia l’altezza della figura”. 


L’anno successivo (1656), diede alle stampe quello che viene considerato il suo capolavoro, l’Arithmetica Infinitorum, forse la più significativa opera sull’analisi prima che Leibniz e Newton ponessero le basi del calculus. Essa ebbe vasta risonanza, e diede un grande impulso alla matematica inglese. Il testo, che sistematizza ed estende i metodi di analisi di Cartesio e Cavalieri, contiene il risultato per il quale Wallis è soprattutto ricordato, cioè il prodotto infinito per π/2 (formula di Wallis):


Ma il suo valore consiste anche nei metodi e nelle notazioni innovativi per la soluzione degli antichi problemi di quadratura e cubatura. Fu in questa Aritmetica degli infiniti che egli introdusse la notazione standard per le potenze, estendendole dai naturali positivi ai numeri razionali:


Passarono quasi trent’anni prima dell’uscita di un’altra pubblicazione fondamentale del matematico inglese: il Treatise of Algebra (1685). L’opera, introdotta da un lungo preambolo storico sullo sviluppo della disciplina, contiene il primo uso sistematico delle formule fisiche. Una quantità data vi viene rappresentata dal rapporto numerico con l’unità di misura utilizzata per quel tipo di grandezza. La parte finale del trattato è dedicata ai contenuti e alle implicazioni dell’Arithmetica Infinitorum, con la descrizione dei contributi nel frattempo apportati al calcolo delle grandezze infinitamente piccole o grandi da Newton e da altri matematici.


Accanto al suo lavoro di matematico teorico, Wallis intraprese nel tempo anche l’opera di curatore delle edizioni postume di opere di altri matematici inglesi, come Oughtred (il suo maestro virtuale) e Thomas Harriot. Si dedicò inoltre alla traduzione di opere matematiche e scientifiche degli antichi greci, probabilmente intrapresa su manoscritti originali o su copie giunti a Oxford nel 1629, quando William Herbert, cancelliere dell'università, acquistò la collezione lasciata dal matematico veneziano Francesco Barozzi per 700 sterline e la donò alla Biblioteca Bodleiana, dove è tuttora conservata. Vero genio polivalente, Wallis redasse anche opere su soggetti quali la logica, la grammatica, la linguistica e la teologia. Come se non bastasse, fu tra i fondatori della Royal Society.

Un personaggio così straordinario non poteva sfuggire all’attenzione dei romanzieri. Iain Pears ne ha fatto uno dei quattro protagonisti del bellissimo thriller, colto e raffinato, La quarta verità (Longanesi, Milano, 1999, ora TEA, 2010), di cui mi sono occupato in un precedente articolo. Secondo uno dei testimoni di un misterioso omicidio di un docente del New College, compiuto a Oxford nel 1663, Wallis

(…) non godeva di grandi simpatie, cosa ai miei occhi comprensibile dal momento che era stato Cromwell a imporlo a Oxford. Wallis era soprattutto impopolare perché, ai tempi della grande purga dei puritani seguita al ritorno del re, non soltanto aveva mantenuto la sua carica, ma aveva addirittura ricevuto segni di favore dalle alte sfere”

Nel corso della sua testimonianza epistolare, Wallis replica a queste critiche con la sua verità, che, nella finzione letteraria, gli rende forse un po’ di giustizia: 

“Sento di dovermi spiegare; non dico, badate, giustificarmi, dal momento che penso di essere stato coerente nel corso di tutta la mia carriera. So che i miei nemici non sono d'accordo, e suppongo che la ragionevolezza di quanto da me compiuto durante la mia attività pubblica - se tale si può definire - non sia chiara a menti poco informate. Com'è possibile, dicono, che un uomo sia anglicano, presbiteriano, leale al martire Carlo, e diventi poi il capo crittografo di Oliver Cromwell e decifri le lettere più segrete del re per aiutare la causa parlamentare, quindi torni alla Chiesa anglicana e, per finire, sfrutti le proprie capacità per difendere di nuovo la monarchia, una volta restaurata? Non è questa ipocrisia? Non è semplicemente un modo di mettersi al servizio unicamente dei propri interessi? Così dicono gli ignoranti. 

A tutto questo rispondo di no. Non lo è, e chiunque dileggi le mie azioni ignora quanto difficile sia riequilibrare gli umori di un sistema politico una volta che venga colpito da una malattia. C'è chi dice che ho cambiato bandiera da un giorno all'altro, e sempre per tornaconto personale. Ma davvero credete che in tal caso mi sarei accontentato della cattedra di geometria all'università di Oxford? Se fossi stato davvero ambizioso, avrei mirato quantomeno a una carica vescovile. Ho rinunciato a questa non perché, come potreste credere, mi sarebbe stato impossibile ottenerla: ma perché non era quello il mio obiettivo. A muovermi non era un'ambizione egoistica e mi sono adoperato al fine di essere utile piuttosto che grande. Ho fatto sempre di tutto per agire secondo principi di moderazione, in conformità con quella che al momento era l'autorità costituita. Sin da quando scoprii per la prima volta il disegno segreto della matematica e mi dedicai alla sua esplorazione, ho anelato all'ordine, perché è nell'ordine che si realizza il disegno divino. La gioia di un problema matematico risolto con eleganza e il dolore nel vedere l’armonia naturale dell'uomo infranta sono due facce della stessa medaglia; in entrambi i casi credo di essermi schierato a fianco della rettitudine. 

Né ho desiderato, quale ricompensa, fama o reputazione; anzi, le ho rifuggite in quanto vanità e ho accettato di buon grado che altri conquistassero cariche elevate nella Chiesa e nello Stato, sapendo che in realtà la mia influenza segreta aveva un peso di gran lunga maggiore della loro. Che gli altri parlino pure; il mio compito era agire e questo ho fatto al maglio delle mie capacità; ho servito Cromwell, perché solo lui, con il suo pugno di ferro, poteva riportare l'ordine nel Paese e porre fine alle dispute tra le fazioni, e ho servito il re quando, alla morte di Cromwell, quel ruolo sancito da Dio passò a lui. E sono stato un buon servitore per entrambi; non per loro in quanto tali, ovviamente, ma perché, così facendo, servivo il mio Dio, come ho cercato di fare in ogni cosa”.

lunedì 3 marzo 2014

L’educazione matematica di Marcel Pagnol


“Il volume della sfera qual è? 
Quattro terzi pi greco erre tre” 

Ho ricevuto un’istruzione, letteraria, ho fatto i miei “studi umanistici”, come tutti. Significa che a venticinque anni possedevo un certo numero di diplomi universitari, potevo leggere in lingua originale Omero, Virgilio, Goethe e Shakespeare. Ma credevo, in tutta buona fede, che il quadrato di tre fosse sei. 
Avevo, naturalmente, seguito al liceo dei corsi di matematica e di scienze, ma erano dei corsi ad uso dei “letterari”, corsi tronchi, sommari, e che sorvolavano sui ragionamenti per arrivare alle formule, Perché noi eravamo incapaci di seguire i ragionamenti, e in più non c’era il tempo, con due ore alla settimana, di imparare tutta la geometria, l’algebra, l’aritmetica, la fisica, la chimica e l’astronomia. Il nostro buon insegnante, che si chiamava Monsieur Cros e che ci vendeva (in perdita) dei corsi ciclostilati, mostrava per noi molta tenerezza e molto disprezzo. Quando ci spiegava qualche bella formula, ci diceva “Non posso spiegarvi come ci si arriva, non capireste, ma cercate di impararla a memoria. Vi assicuro che è esatta, e che ha delle basi solide”. Insomma, non era un corso di scienza: era un corso di religione scientifica, era una continua rivelazione di “misteri”. 
Ecco perché, dieci anni più tardi, ho aperto un giorno un libro di fisica: ecco perché l’ho letto da cima a fondo.

(…) 

Talvolta, quando un allievo gli faceva una domanda, Monsieur Cros azzardava una spiegazione, ma veloce, leggera, deformata, senza entrare nel vivo dell’argomento, come un uomo beneducato che è costretto a raccontare una storia oscena davanti a delle signore. Egli “abbozzava”. 
Tra le formule che ci dava, alcune erano incantevoli. Declamava, dall’alto della sua pedana: 

La circonferenza è fiera se la omaggio 
facendo 2π per il raggio,
e il cerchio è deliziato 
di valere π per il raggio al quadrato. 

E sorrideva. Come per dire: “Siccome siete dei “letterari”, vi regalo della poesia”. 
Dopo un simile poema, ci guardava, gioioso e soddisfatto, come per dire “Allora, non la conoscete, questa?” E tutta la classe, stupita dalla fierezza della Circonferenza e conquistata dalla delizia totale del Cerchio, esprimeva la sua ammirazione con dei lunghi muggiti. 
Monsieur Cros colpiva allora la sua cattedra con un enorme compasso di legno e diceva: “Vedete, signori, non disprezzate la Musa, quando viene in aiuto alla Scienza”. 

Diceva anche: 

Il volume della sfera, 
purché presa tutta intera, 
è uguale a 4/3 π erre tre, 

Prendeva tempo. – un tempo di una ventina di secondi. 
Guardava la classe, da Yves Bourde a Averinos. Poi, sottovoce, l’indice levato, l’occhio semichiuso, aggiungeva: 

anche quando di legno è. 

Dava una grande importanza a questo verso finale, e lo lanciava con una specie di trionfale severità. Ma non si rivolgeva più a noi: parlava alla Sfera stessa. L’avvisava, l’avvertiva: qualsiasi sotterfugio avesse usato, per quanto grande fosse la sua malafede, in qualsiasi materia si fosse trasformata, alla maniera di Proteo, che fosse piena, scavata, pesante o leggera, d’acciaio o di grafite, di manganese, di rame, di gesso o di zinco stagnato, e persino (supremo rifugio) “anche quando di legno è”, non sarebbe sfuggita alla formula implacabile dove la geometria l’aveva imprigionata: era presa, misurata, vinta, solo premendo il grilletto di quest’arma terribile: 4/3 π erre tre, “anche quando di legno è”. 
Lei, rotonda e cicciotta, noi si stendeva il suo cadavere su una pagina piatta, solo premendo il grilletto di quest’arma nichelata: 4/3 π erre tre, anche quando di legno è. 
Dopo questo trionfo, Monsieur Cros prendeva dell’altro tempo. Il suo viso si distendeva; poi, indulgente, conciliante, generoso, e arrotando le erre con meno ferocia, aggiungeva: 
“Si può anche dire: “Persino se di legno è”” 
E pronunciava: “lenio”. 

+ ‒ × : + ‒ × : + ‒ × : + ‒ × : + ‒ × : 

Nel quarto volume dei Ricordi d’infanzia del grande scrittore, traduttore, regista e drammaturgo marsigliese Marcel Pagnol (1895 - 1974), uscito postumo, si trova una curiosa “Prefazione" agli "Elementi di una nuova termodinamica”, scritta nel 1930, da cui ho tratto la deliziosa parte che riguarda la matematica. Spesso, con gli allievi della formazione professionale, mi sento tanto come Monsieur Cros. Traduzione e infedeli (ma necessari) adattamenti sono miei.