giovedì 27 novembre 2014

Poesie quadrate

Una poesia quadrata è una particolare composizione in cui il numero delle sillabe (o di parole) per ogni verso è uguale al numero dei versi, per cui la sua struttura risulta essere una griglia quadrata, come in questo esempio che traggo dalla matematica e poetessa americana JoAnne Growney e che ho adattato alla nostra lingua:

When lovers leave, 
avoid laments. 
Grab a cactus-- 
new pain forgets.


Se ti lascia,
via la pena:
sfrega cactus
con la schiena.

La poesia quadrata più semplice (1 x 1) è formata da un monosillabo, come questa che ho dedicato a Italo Svevo:

Schmitz 

mentre non esiste in teoria un limite superiore. Questo tipo di contrainte è banale, a meno che non si vogliano costruire opere che abbiano diversi percorsi di lettura. Ad esempio Lewis Carroll fu l’artefice di questa stanza:

I often wondered when I cursed, 
Often feared where I would be – 
Wondered where she’d yield her love 
When I yield, so will she. 
I would her will be pitied! 
Cursed be love! She pitied me…


Fateci caso: la poesia può essere letta anche verticalmente: la prima parola di ogni verso forma esattamente il primo verso “I often wondered when I cursed”, la seconda forma il secondo verso, e così via. Il pregio di quest’opera dell’autore di Alice non risiede solo nella struttura, ma anche nel fatto che la poesia possiede un senso in se stessa, caratteristica che la rende un piccolo capolavoro non solo per la vista, ma anche per l’udito.



Il monstrum del genere "poesie quadrate" è senza dubbio A square in verse of a hundred monasillbles only: Describing the sense of England's happiness, scritto nel 1597 in onore di Elisabetta I dall’inglese Henry Lok (1553?-1608?), un poeta di origini borghesi sempre alla ricerca di protettori tra i nobili delle corti di Edimburgo e Londra e in costante lotta con i debiti. Lok scrisse alcune sequenze di sonetti e contribuì alla riforma della poesia inglese a sfondo religioso, ma a stento lo troviamo nelle antologie di poesia elisabettiana e in qualche saggio critico. Un minore, se non fosse per questa barocca e geniale esibizione di maniera.


Come dice il titolo, l’opera è costituita da una griglia quadrata di lato 10, in cui ognuna delle 100 celle contiene una parola monosillabica (in italiano ciò sarebbe impensabile, mentre in inglese, lingua più sintetica, la maggior parte delle parole lo è). Lo schema, che ho trovato in un articolo della Growney sulla matematica nella poesia, mostra in modo leggibile le parole dell’opera, che è preceduta e seguita da due motti latini.


Thomas P. Roche, Jr., che ha pubblicato la poesia di Lok in appendice al suo saggio Petrarch and the English Sonnet Sequences (New York: AMS Press, 1989) ha messo in evidenza come nella griglia sia possibile riconoscere una complessa struttura di quadrati e colonne e croci che formano poesie più piccole all’interno. Ad esempio, la prima colonna forma la frase:

God makes kings rule for heaue[n]s; your state hold blest 

E l’ultima colonna

And still stand will their shields; fear yields best rest. 

Si può scoprire anche una poesia di cinque versi con quattro parole ciascuno seguendo in diagonale le celle da 1 a 5 e utilizzando le parole poste negli angoli. Le croci indicate in grigio a loro volta nascondono frasi che si possono leggere dal centro verso l’esterno e poi ritornando in modo bustrofedico. 

Presentata questa macchina poetica, che immagino di trovare in un gabinetto rinascimentale delle curiosità letterarie (assieme ai leporeambi e a qualche corno di ippogrifo), mi viene in mente quanto scrisse il grande ludolinguista Giampaolo Dossena* a proposito del quadrato magico alfabetico (il famoso SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS): 

“Sempre, leggendo di cose enigmistiche, si trasente il tanfo della condizione carceraria, ma guardando [tali] giochi geometrici (…) si è presi alla gola da miasmi concentrazionari, abissi di infelicità, follia, ebetudine. Certe tradizioni enigmistiche sono tra le testimonianze più patologiche e teratologiche lasciate dall’homo sapiens sulla superficie dello sventurato pianeta Terra. 

Se chi ama i giochi di parole può essere definito “qabbalista dilettante”, chi ama certi giochi enigmistici può essere considerato un qabbalista demente e disperato, che applica le tecniche della qabbalah non al testo della Bibbia bensì a un pezzo di giornale trovato in una latrina (…) 

*in Il dado e l’alfabeto, Zanichelli, 2004, p. 226

sabato 22 novembre 2014

Sonetto svergognato

PHILOSOPHIE
Sonnet honteux 

L’anus profond de Dieu s’ouvre sur le Néant, 
Et, noir, s’épanouit sous la garde d’un ange. 
Assis au bord des cieux qui chantent sa louange, 
Dieu fait l’homme, excrément de son ventre géant. 

Pleins d’espoir, nous roulons vers le sphincter béant 
Notre bol primitif de lumière et de fange; 
Et, las de triturer l’indigeste mélange, 
Le Créateur pensif nous pousse en maugréant. 

Un être naît : salut ! Et l’homme fend l’espace 
Dans la rapidité d’une chute qui passe: 
Corps déjà disparu sitôt qu’il apparaît. 

C’est la Vie: on s’y jette, éperdu, puis on tombe; 
Et l’Orgue intestinal souffle un adieu distrait 
Sur ce vase de nuit qu’on appelle la tombe. 


FILOSOFIA
Sonetto svergognato 

L’ano profondo di Dio si apre sul Niente, 
e, nero, si schiude davanti a un angelo custode
Seduto sul bordo dei cieli che ne cantano la lode, 
Dio fa l’uomo, cacca di un ventre possente. 

Pieni di speranza corriamo allo sfintere beante 
il nostro primitivo bolo di luce e sozzura; 
e, stanco di triturare l'indigesta mistura, 
il Creatore pensoso ci spinge imprecante. 

Un essere nasce: ciao! E fende l'atmosfera 
con la rapidità d'una caduta passeggera: 
corpo già scomparso non appena è tratto. 

È la vita: ci si lancia, perduti, poi si piomba; 
e l'Organo intestinale suona un addio distratto 
su questo vaso da notte che chiamiamo la tomba. 

Edmond Haraucourt (1857 – 1941) pubblicò questo sonetto in La Légende des sexes, poëmes hystériqes et profanes, uscito nel 1882 sotto lo pseudonimo di Edmond de Chambley. Quest'opera di gioventù, scapigliata e irriverente, contrasta fortemente con quelle successive di Haraucourt, che sarebbe diventato una persona molto seria (direttore di musei, presidente della società degli autori) rimanendo un bravo poeta. Quando scrisse la sua Légende des sexes («Questo libro è l’epopea del basso ventre», dichiarò nella prefazione), era vicino ai decadentisti, e si definì come «poeta libertino della Terza Repubblica». Haraucourt fu autore anche del famoso «partir, c’est mourirun peu» e del Sonet Pointu molto esplicito sessualmente, che anticipò le calligrafie di Apollinaire.

lunedì 10 novembre 2014

La tradizione delle Coffeehouse (e la matematica)


Gli Europei incominciarono a conoscere il caffè e il suo consumo attraverso i resoconti dei viaggiatori negli imperi ottomano e persiano, che riferivano di come gli uomini facessero uso di un succo inebriante "di colore nero e ottenuto dall'infusione di bacche macinate di una pianta che fiorisce in Arabia". I locali bevevano questo infuso "durante tutto il giorno e fino a notte fonda, senza alcun apparente bisogno di dormire; con il corpo e la mente continuamente vigili, gli uomini chiacchieravano e discutevano, trovano nel nero liquido bollente un curioso stimolo assai diverso da quello prodotto dal succo fermentato dell'uva". Intorno al XVI sec. incominciarono ad aprire nelle principali città del vicino oriente dei locali destinato al consumo della bevanda, che presto divennero luogo di ritrovo, di gioco degli scacchi, di affari e occasione per ascoltare racconti e poesie. 


A causa dei suoi interessi nel Mediterraneo orientale, Venezia fu la prima città in cui si incominciò a far uso del caffè in Italia, anche se le prime botteghe del caffè furono aperte solo nel 1645. Presto questa esotica bevanda penetrò nelle usanze europee, iniziando dalle classi più ricche e colte. Si incominciò con il studiarne le proprietà mediche, nell'ambito di un più vasto progetto di avanzamento del sapere attraverso la collezione e la classificazione del mondo naturale. Nel 1583 la pianta fu descritta dal botanico tedesco Leonhard Rauwolf e nel 1591 dal veneto Prospero Alpini. Le bacche furono descritte solo nel 1605 da Charles de L'Écluse, direttore del giardino botanico di Vienna. 

Nella sua opera Sylva sylvarum, pubblicata postuma nel 1627, Francis Bacon dedicò uno studio al caffè, che ispirò successive ricerche, secondo le quali la bevanda "cura la malinconia della mente, la gotta, il vaiolo, lo scorbuto e gli eccessi dell'ubriachezza". Bacon fornì per primo una descrizione dei locali in cui i turchi si sedevano a bere il caffè, paragonandoli alle taverne europee. 

Vi furono anche coloro che assunsero una posizione più cauta, temendo che vi fossero più effetti negativi che pregi. Secondo questi sperimentatori, l'eccessivo consumo di caffé poteva causare languore, paralisi, affanno cardiaco e tremori, oltre a disturbi nervosi. Tra i detrattori vi fu il medico e letterato Francesco Redi, come si legge nel Bacco in Toscana

"Beverei prima il veleno 
che un bicchier che fosse pieno 
dell'amaro e reo caffé". 


Nonostante le iniziali resistenze, dall'Italia e da Vienna si diffusero nella seconda metà del Seicento locali appositi dedicati al consumo del caffè. Esso cominciò ad essere importato e consumato in Inghilterra e si aprirono i primi caffè (coffeehouse), come ad esempio quelli di Oxford e di Londra. Nel 1663 in Inghilterra vi erano 80 coffeehouse, che si moltiplicarono fino a superare le 3000 unità nel 1715. Proprio Oltremanica gli esercizi per il consumo del caffè divennero luoghi per la diffusione di nuove idee, sia dal punto di vista filosofico e letterario, sia da quello sociale e scientifico. 

Non fu un caso che la prima coffeehouse inglese, The Angel, aprì nella colta e vivace Oxford nel 1650. L'accesso costava un penny e da diritto a una tazza fumante di caffé. Nel giro di pochi anni aprirono diversi locali, che furono chiamati penny universities, in quanto offrivano una forma alternativa a quella ufficiale di insegnamento accademico strutturato. La coffeehouse era un luogo dove potevano riunirsi studiosi di idee simili, per leggere, per ascoltare lezioni, per dibattere assieme. Il fatto di non essere legate all'istituzione dava ovviamente ai partecipanti a queste riunioni maggiore libertà di espressione e nella scelta degli argomenti da trattare. Tra i frequentatori delle coffeehouse oxoniensi c'erano ingegni del calbro dell'astronomo e architetto Christofer Wren, dello scrittore e diarista John Evelyn e del medico Thomas Millington. Il fatto che non si servissero bevande alcoliche (oltre al caffè si potevano trovare anche tè e cioccolata), e che la clientela fosse formata in prevalenza da intellettuali, contribuì a dare a questi locali un tono raffinato assai diverso da quello alcolico delle taverne popolari, che divenne un segno distintivo anche al di fuori di Oxford.

Nel 1652 un immigrato greco aprì la prima coffeehouse di Londra. Altre seguirono nel giro di pochi anni. Lo storico Brian Cowan descrive le coffeehouse inglesi come "luoghi in cui le gente conveniva per bere caffè, conoscere le notizie del giorno, discutere di argomenti di comune interesse. L'assenza di alcol creava un'atmosfera in cui era possibile impegnarsi in discussioni serie e educate". Questi locali svolsero un ruolo importante nello sviluppo dei mercati finanziari e assicurativi (i Lloyd's nacquero nella e dalla omonima coffeehouse londinese) e della stampa periodica". Gli argomenti di discussione comprendevano la politica, il pettegolezzo, la moda, la cronaca e anche la filosofia e le scienze naturali. Le coffeehouse divennero spesso la sede permanente e il luogo di riunione di gruppi e club di persone accomunate da interessi culturali, politici, economici e finanziari. Alcuni dei frequentatori vi eleggevano il domicilio per ricevere la corrispondenza.


Il proliferare di idee liberali nelle coffeehouse incominciò a preoccupare il potere. Dopo la Restaurazione, re Carlo II nel 1675 tentò con un editto di proibirle, ma la reazione fu così diffusa e indignata che il sovrano decise di fare marcia indietro. La vittoria delle coffeehouse fu una delle cause dell'affermarsi dello stile British tipico delle classi medio-alte.

Si andò anche, com'è naturale, verso una certa forma di specializzazione. A Londra, ad esempio, Child's era il ritrovo del clero, The Grecian, come suggerisce il nome, attirò le persone con interessi filosofici e scientifici. Un anonimo frequentatore testimonia:

"Mentre altre parti della città si divertono [a discutere] delle vicende correnti, noi di solito passiamo la sera a questo tavolo a investigare le antichità e discutiamo di qualsiasi notizia che ci dà nuovo sapere". 

Era frequente che le riunioni dei soci della Royal Society, compreso il presidente Isaac Newton, continuassero e si concludessero amabilmente al Grecian. Talvolta il grande astronomo Edmund Halley era della partita, durante la sua visita settimanale da Oxford nella capitale. Nel terzo atto della commedia Tarugo's Wiles, or The Coffee House (1668) di sir Thomas St. Serfe, si trova questa conversazione tra due clienti:

Cliente 1: "Mi dicono, Signore, che il caffè ispira nell'uomo la matematica". 
Cliente 2: "Tanto più lontano lo tiene dal sonno, che, sapete, è il modo migliore per distrarsi, quanto più favorisce il miglioramento della matematica". 

Un locale frequentato da "filosofi naturali" e matematici era anche la Button's Coffee House, dove spesso si tenevano veri e propri cicli di lezioni di matematica, programmate secondo date e orari prestabiliti. Da Button's fu affisso il seguente avviso:

"A partire dall'11 gennaio 1714 si terrà un corso di letture filosofiche [naturali] su meccanica, idrostatica, pneumatica, ottica (...). Questo corso sperimentale sarà tenuto [origin. "performed"] dai signori William Whiston e Francis Hauksbee (...)" 


Un altro locale in cui si discuteva di matematica e fisica era Slaughter's, aperto nel 1692 e frequentato da Abraham de Moivre, il matematico francese poi amico di Newton e Leibniz, che da giovane esule arrotondava i suoi magri proventi insegnando il calcolo delle probabilità e risolvendo problemi di scacchi per gli avventori. 

L'ultima coffeehouse interessante dal punto di vista matematico è il Marine, dove John Harris tenne ogni anno tra il 1698 e il 1704 un corso di matematica e astronomia, da cui trasse anche una dispensa da vendere ai suoi studenti-avventori, in gran parte uomini di mare, pubblicata nel 1703 con il titolo Description and Uses of the Celestial and Terrestrial Globes and of Collins' Pocket Quadrant.


lunedì 3 novembre 2014

Orondo e l'impero della tecnica a scuola

Dopo tre anni di corsi di aggiornamento, ritorna il prof. Orondo, docente di fisica in un liceo, di cui abbiamo visto tempo fa alcune avventure. Oggi il prof. si  confronta con le tecnologie applicate alla didattica, argomento che ha occupato decine di ore della sua esperienza di sessantenne discente, allievo di giovanotti tanto sicuri di sé quanto ignoranti di ogni campo del sapere non connesso a un modem.