sabato 10 dicembre 2011

Il mondo sotto chiave di Daniele De Pedis. Un’intervista

Tra gli amici di alcuni dei gruppi di matematica di cui faccio parte su Facebook c’è Daniele De Pedis, ardeatino di nascita e ginevrino di residenza, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), che ha collaborato a molti esperimenti di fisica delle particelle al Fermilab di Chicago e al Cern di Ginevra, dove oggi è responsabile del data base di produzione del rivelatore per muoni dell'esperimento Atlas. Quest’anno ha fatto parlare di sé in due particolari occasioni, che sono riferibili alla sua attività professionale solo in parte.

Ai primi di maggio Daniele ha pubblicato su ArXiv un articolo nel quale propone una dimostrazione dell’ultimo teorema di Fermat utilizzando una metodologia che, sostiene, era certamente nelle possibilità e nelle conoscenze del matematico francese, e che costituirebbe la “prova meravigliosa” che egli sosteneva di possedere nella famosissima nota su un margine troppo stretto di una pagina dell’Aritmetica di Diofanto. Questa dimostrazione, nelle parole di Daniele, non fa ricorso alle radici coniugate complesse, che sarebbero state introdotte da Gauss solo 150 anni dopo Fermat, e differisce da quella di Wiles perché più diretta, avendo il matematico inglese dimostrato il teorema solo indirettamente, provando la congettura di Taniyama-Shimura che è legata ad esso. Personalmente non sono in grado di giudicare la validità del lavoro di Daniele, che altri sapranno fare con maggiore competenza, soprattutto perché in queste note voglio parlare della seconda sua novità del 2011, più adatta a un blog che si occupa di scienza e letteratura.

L’anno che sta per concludersi ha visto infatti Daniele esordire anche nel campo della narrativa, con l’uscita di Il mondo sotto chiave, un thriller dove si intrecciano fantasia, politica reale, spionaggio e soprattutto scienza. La trama si regge infatti principalmente sul fascino e sul mistero dei numeri primi, che sono alla base di una lettura peculiare dei fatti dell’11 settembre e delle vicende che ne sono seguite. Nel libro affiorano prepotenti anche le esperienze professionali e personali dell’autore, che non rifugge dallo spiegare in modo didattico alcuni dei concetti scientifici la cui conoscenza è necessaria allo sviluppo del racconto. Incuriosito, ho inviato a Daniele una serie di domande sul suo sforzo narrativo, alle quali ha cortesemente risposto a stretto giro di posta elettronica. Eccole.

Daniele, alla veneranda età di 63 anni ti metti a fare il vero matematico e lo scrittore. Ma chi te lo fa fare?

«No, in realtà non pretendo di essere considerato uno scrittore e tantomeno un vero matematico, ci vorrebbero ben altre capacità e conoscenze! Per quanto riguarda la matematica, mi considero un hobbista con la passione per questa scienza. In effetti, è proprio questa consapevolezza che mi ha portato ad interessarmi ai lavori di Fermat: anche lui era un funzionario statale con l’hobby della matematica!
Per quanto riguarda lo scrivere, era da parecchio tempo che avevo desiderio di cimentarmi in quest’ambito, è stata una sfida con me stesso. In realtà sono sempre stato avulso, quasi incapace, di riportare per iscritto i risultati del mio lavoro. Molti lavori scientifici da me sviluppati non hanno avuto il meritato riconoscimento semplicemente perché io non avevo la forza di impegnarmi nella loro divulgazione. Per vincere questa mia apatia un giorno decisi che avrei scritto un romanzo, così colsi l’occasione approfittando di una ricerca che stavo conducendo sui numeri primi. Da lì è nato Il mondo sotto chiave».

Potresti riassumere la trama in poche righe per i miei lettori frettolosi?

«Credo sia difficile riassumere in poche righe un racconto che ha molte sfaccettature. Posso riportare la quarta di copertina:
“Un thriller dove fantasia, politica reale, spionaggio e soprattutto scienza (fisica e matematica) si intrecciano.
Bagdad 19 Marzo 2003 ore 4:00 inizia l'invasione dell'Iraq. Ufficialmente l'esercito americano ha il compito di trovare e annientare le armi di distruzione di massa che si pensa siano in mano a Saddam Hussein. Ma è credibile una tale versione o, forse, quello che cercano gli invasori è un'arma ben più terrificante e globale delle bombe atomiche, batteriologiche e chimiche?”
Il libro dà una sua risposta, alquanto inaspettata e sorprendente, a quest’ultima domanda, lasciando però al lettore ogni sua personale conclusione.
Per chi voglia un riassunto un po’ più dettagliato può riferirsi alle recensioni del libro alla pagina di ilmiolibro».

Il mondo è davvero in qualche maniera sotto chiave?

«Se per “sotto chiave” intendiamo un mondo permeato dai segreti, sicuramente sì. Basta pensare alle recenti vicissitudini del caso Assange o al nostro periodo buio delle cosiddette “stragi di stato”, per non poter non essere d’accordo. Ma il segreto politico, economico o industriale è sempre esistito fin dall’antichità. Consiglio un interessante libro di Simon Singh, Codici & Segreti, in cui l’autore ripercorre l’affascinante storia della crittografia dall'antico Egitto a Internet».

Già nel titolo de Il mondo sotto chiave c’è molta crittografia. I matematici sono sempre stati dei grandi crittografi, da John Wallis ad Alan Turing, solo per citarne un paio. Qual è il futuro della crittografia? Pensi che possa riservarci una maggiore protezione dei dati sulla rete o ci saranno sempre gli hackers, magari militari stipendiati o magari ragazzini geek come il protagonista di War Games? E chi sono i buoni e chi i cattivi?

«Prima vorrei rispondere all’ultima domanda “chi sono i buoni e chi i cattivi?”. Ovviamente dipende da che parte uno si pone! Il crittografo si considera sempre dalla parte dei buoni, sia che esso cerchi di celare i propri segreti da occhi indiscreti, sia che cerchi di svelare i segreti di qualcun altro. Il caso di Assange, che ricordavo prima, è proprio il classico esempio che sta dividendo l’opinione pubblica: c’è chi lo considera un paladino della verità e della trasparenza e chi, viceversa, lo considera solo un malfattore che mette a repentaglio la sicurezza di interi stati.
Per tornare alla prima parte della domanda, non credo che possa verificarsi un caso tipo War Games, in cui degli adolescenti riescono a forzare tutti i livelli di protezione di un sistema come quello della difesa americana. Lasciami dire però che personalmente non credo alla figura romantica dell’hacker come normalmente viene intesa: il genio seduto davanti al suo computer che con mezzi empirici riesce a perforare ogni sistema di protezione. Nella realtà c’è sempre l’elemento umano, che è il vero anello debole della catena, cioè alla fine l’hacker è sempre colui che ha accesso alle informazioni in maniera diretta. Quindi l’hacker non è il genio, ma solo il malfattore a cui sono state affidate le chiavi dei segreti che dovrebbe custodire. Innumerevoli sono i casi che si potrebbero portare ad esempio.
Oggigiorno la crittografia è basata principalmente sull’algoritmo RSA, che sfrutta una particolare proprietà dei numeri primi, ed è per questo motivo che le principali potenze mondiali hanno al loro servizio grandi squadre di matematici. L’algoritmo RSA è ritenuto (ufficialmente) inespugnabile, tuttavia si cominciano ad osservare alcune piccole crepe in tutta l’architettura. Dopo aver dato una descrizione semplice e accessibile, anche ai digiuni di matematica, dell’algoritmo RSA, è su queste (apparenti) crepe che si innesta tutta la trama del mio libro.
Per rispondere alla tua domanda sul futuro: non so se la crittografia RSA resisterà a lungo o si vedrà a breve un suo scardinamento, in realtà è una tecnica relativamente giovane essendo nata nel 1975. In ogni caso, ammesso che si trovi un sistema per forzarla, sicuramente sarà una tecnica che richiederà una potenza di calcolo spaventosa, che solo poche organizzazioni al mondo potrebbero permettersi.
Nel futuro però ci aspetta la crittografia quantistica che, essendo basata su principi della fisica quantistica, è assolutamente inattaccabile. Purtroppo ci vorranno ancora parecchi decenni affinché la crittografia quantistica possa uscire dal mondo delle idee di principio ed entrare nel mondo della realtà».

Che rapporto c’è tra il tuo studio sull’ultimo teorema di Fermat e il romanzo?

«In realtà c’è solo un legame indiretto. Stavo interessandomi ai numeri primi quando, applicando un particolare algoritmo, mi ritrovo fra le mani una proprietà sconosciuta di tali numeri (per chi ne volesse sapere di più può trovarne una descrizione nell’appendice del libro). Preso dalla curiosità, vado a parlare con dei colleghi del dipartimento di matematica, i quali mi confermano l’originalità dello ricerca. Galvanizzato da tali riscontri, mi immergo nello studio profondo dei numeri primi e della crittografia a chiave pubblica di cui tali numeri sono le fondamenta. Mi ricordo allora di Fermat, anche lui un autodidatta, che ha lasciato importantissimi lavori nel campo della matematica. Nasce così, pian piano, la trama del libro, dove cerco di raccontare, appunto in forma di romanzo, i miei risultati relativi a questa particolare proprietà. In questo percorso, vengo inevitabilmente a contatto con quello che è il più famoso lavoro di Fermat e cioè il cosiddetto “Ultimo Teorema di Fermat”, un teorema che ha resistito per oltre 350 anni alla sua soluzione e che solo nel 1997 Wiles è riuscito a dimostrare con tecniche estremamente sofisticate, che sicuramente non potevano essere alla portata di Fermat. Mi venne quindi spontaneo applicare il mio algoritmo usato per i numeri primi anche al “Teorema di Fermat” riuscendo (fatemelo credere) ad arrivare ad una dimostrazione semplice, di cui sicuramente Fermat stesso aveva gli strumenti.
Conclusione: il lavoro originale sui numeri primi deve essere ancora pubblicato su una rivista scientifica. Il teorema di Fermat è già pubblicato su arXiv.org, come tu hai ricordato. Il libro, per adesso, è reperibile solamente on line, ma da gennaio prossimo lo sarà anche nelle librerie Feltrinelli».

La scienza e la tecnologia costituiscono lo scheletro del tuo romanzo, che si regge anche sui muscoli della politica e del mistero. Non posso credere che la matematica e la fisica abbiano costituito per te un semplice espediente narrativo. Qual è secondo te oggi il rapporto tra le cosiddette “due culture”, quella umanistica e quella scientifica, e come dovrebbe essere?

«Sicuramente la fisica e la matematica da sempre si sono intrecciate con le richieste della politica e degli apparati militari, basti pensare allo sviluppo della bomba atomica e a tutte le sue conseguenze politiche. A livello europeo (CERN più i paesi membri) il budget della ricerca nel campo delle particelle elementari supera il miliardo di euro, una cifra enorme. Spesso mi domando se sia etico spendere tanti soldi, poi rispondo ai miei dubbi facendo questa considerazione: meno di 200 anni fa qualcuno (Faraday, Coulomb e molti altri) si incuriosì di quello strano fenomeno che si verifica quando strofinando una bacchetta di legno e avvicinandola a dei pezzetti di carta questi ne vengono attratti. Ebbene dallo studio di quella curiosità ne è scaturito tutto ciò che oggi abbiamo di elettrico: motori, televisione, computer, cellulari ecc.
Per venire alla tua domanda, nell’uomo coesistono le due facce: l’umanistica e la scientifica. Ovviamente ogni individuo sarà portato a sviluppare l’aspetto a lui più congeniale ma, normalmente, le “due culture” saranno sempre presenti anche se in maniera diversa. Un esempio su tutti: Einstein oltre a essere quel grande scienziato che tutti conosciamo, era anche un ottimo suonatore di violino!»

Ti affascina l’idea che la scienza può essere non solo oggetto di narrativa, ma può anche esserne soggetto, nel senso che avremo macchine generatrici di storie?

«Questo è il grande sogno di Turing, il grande matematico che tu prima ricordavi. Personalmente credo che nel futuro ci avvicineremo molto alla “macchina pensante”, cioè una macchina che possa simulare un processo deduttivo simile a quello umano, già abbiamo esempi abbastanza verosimili. Ciò che credo che la macchina non potrà mai fare è avere dei sentimenti quali amore, piacere, gusto della bellezza ecc. Però anche in questo campo non mi esporrei più di tanto: cento anni fa Jules Verne ci faceva sognare con i viaggi sulla luna e con i sommergibili nucleari, tutte cose che poi si sono realizzate. Chissà, forse fra cent’anni L’uomo bicentenario di Asimov sarà una realtà quotidiana».

Vivi e lavori a Ginevra e di certo conosci il CERN meglio di Dan Brown. Che cosa pensi dei suoi libri? Ti hanno influenzato?

«No, influenzato assolutamente no. In effetti, nel mio libro riprendo alcune argomentazioni di Dan Brown e le commento. Anche la direzione generale del CERN ha rilasciato dei commenti ufficiali alle ipotesi riportate sul libro di Dan Brown. Prima che tu me lo chieda, ti dico subito che anche il libro di Paolo Giordano La solitudine dei numeri primi assolutamente non mi ha influenzato.
Infatti, nel mio libro il personaggio principale è la scienza (matematica e fisica), mentre nei libri di Brown e Giordano la scienza è la scusa su cui vengono imbastiti i loro racconti!»

Che cosa ne pensi dei libri di narrativa matematica come Il teorema del pappagallo di Denis Guedj o Zio Petros e la congettura di Goldbach di Apostolos Doxiadis? Non ritieni che la volontà di divulgare possa andare a scapito della qualità letteraria?

«Ho letto Il teorema del pappagallo ed ho ordinato il libro di Doxiadis, spero di poterlo leggere presto. No, non credo che la divulgazione scientifica vada a scapito della qualità letteraria, le considero due cose diverse. È chiaro che, se pretendiamo che un libro divulgativo abbia una statura letteraria alla Manzoni o alla Pasternak, allora stiamo sbagliando il nostro confronto. D’altra parte esistono degli ottimi esempi, tipo Apologia di un Matematico di G.H. Hardy, un importante matematico inglese, un'opera divulgativa dove l’autore, per mezzo delle due dimostrazioni (sull'infinità dei numeri primi e sull’irrazionalità della radice quadrata di 2), riesce a trasmettere al lettore la bellezza della matematica.
Altro gigante della matematica divulgativa è stato Martin Gardner che, con la sua rubrica “Matematica Ricreativa” sul Scientific American, ha letteralmente alimentato e coltivato la passione della matematica in milioni di giovani (me compreso!)»

Il tuo romanzo contiene anche una storia d’amore di sapore autobiografico. Che cosa ne pensi del giudizio di Gramsci secondo il quale gli italiani, quando scrivono un libro, scrivono sempre un libro d’amore e non sanno congegnare una trama che ne faccia a meno?

«Vero, nel mio caso sicuramente vero. Il mondo sotto chiave, essendo il mio primo libro, non poteva che essere a sfondo molto autobiografico. In realtà nella stesura del testo ho cercato di attenermi a fatti realmente accaduti e considerazioni reali (così come esplicitamente scritto nell’introduzione) quindi la parte autobiografica, compresa anche quella sentimentale, per forza di cose non poteva mancare! Spero di aver dosato nelle giuste proporzioni la parte personale e quella divulgativa».

Toglimi un’ultima curiosità, se vuoi un po’ indiscreta. Il tuo è un cognome controverso, che riporta alla mente passati fatti di sangue legati alla criminalità organizzata. Come vivi questa omonimia?

«In generale non mi crea nessun fastidio non avendo nulla da condividere con i noti personaggi della Banda della Magliana a cui tu ti riferisci. L’unica difficoltà sorge quando devo consigliare a qualche collega la lettura di un articolo o una pubblicazione di cui sono autore e/o coautore. In questi casi devo specificare di cercare su Google “D. De Pedis” perché altrimenti il motore di ricerca presenterà infiniti link a pagine che trattano delle gesta di quel mio omonimo!»


3 commenti:

  1. Meraviglioso! Lo ordino prima di subito. E inoltro anche una richiesta di amicizia a D. De Pedis su Fèisbuk, chissà...
    Però, secondo me nèh, hai dimenticato una domanda nella tua intervista peraltro ottima e abbondante: Daniele perché non ti fai un blog? Oggi ce l'hanno tutti come il cellulare che fa da computer (OK, ce ne vuole ancheuno normale per le telefonate), il navigatore satellitare sull'auto che usi per il percorso casa-lavoro (io viaggio in pullman o in bici (e sono ancora senza)).
    OK, smetto.

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  2. Ciao Juhan
    scusa rispondo solo ora ma Fermat mi ha fatto abbandonare tutto e tutti. Ora ho una nuova versione che dovrebbe sanare alcuni punti deboli (non errati!) della precedente versione e quindi sono stato impegnato a scriverla (sara' pubblicata a breve su www.arXiv.com).

    Per risponderti brevemente.... un blog !!?? Si ci ho provato ma troppo impegnativo, non ce la faccio a stargli dietro!!

    Comunque grazie per i consiglio e... spero che il libro ti piaccia !!

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    1. Allora, intanto ciao a te. Il libro l'ho letto e apprezzato. Anzi lo consiglio a tutti. Sul Teorema del pappagallo ho qualche riserva (avevo capito dove andava a parare troppo presto). Lo zio Petros non l'ho ancora affrontato --prossimamente.
      C'è da dire che non faccio testo, mi sono annoiato con Gardner (the Colossal... non ricordo il titolo) perché avevo letto gli articoli un 30 or sono!
      E sono in ritardo anche con il blog!!!

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